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VIOLENZA SULLE DONNE: CAUSA REALE E PROGETTO DI PREVENZIONE

 



















Ogni anno, è il 25 novembre giornata contro la violenza sulle donne, la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne in cui si alza una eco enorme per combattere la violenza sulle donne, con immagini e slogan altamente emotivi "no alla violenza sulle donne". Ogni anno si parla di statistiche, si raccontano fatti raccapriccianti, si enfatizzano le misure di protezione, aumentando la sensibilità e la consapevolezza comune, ma poco si fa per prevenire la violenza sulle donne. Come prevenire la violenza sulle donne se i riflettori sono puntati sulle conseguenze e non sulle cause reali e se si definiscono misure di prevenzione della violenza contro le donne, misure che sono invece di protezione o tutt'al più di prevenzione secondaria e che comunque ben poco possono sulle reali cause della violenza sulle donne?
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Anche se può avere peso la cultura sociale in cui l'individuo è inserito, la violenza verso un'altra persona è sempre connessa alla sfera relazionale ed emotiva, ovvero alla disfunzione emotiva e relazionale. E' lì dunque che bisogna agire e cercare di farlo quanto prima, quando le disfunzionalità emotive si potrebbero generare, perchè il disagio emotivo è qualcosa di molto più vicino di quanto pensiamo e (come vedremo) riguarda ognuno di noi... L'unico valido progetto sulla prevenzione della violenza sulle donne può essere quello basato su una prevenzione primaria, evitante che i disagi emotivi sfocino in comportamenti antisociali.


CAUSE DELLA VIOLENZA SULLE DONNE

Stop alla violenza sulle donne, significa evitare che accada.
Per evitarlo, bisogna conoscere le cause della violenza sulle donne ed agire prima che queste cause si inneschino.


LA CAUSA NON E' SOCIALE

Per l'Istat, prevenire la violenza "vuol dire combattere le sue radici culturali e le sue cause", ma il problema non è culturale o sociale (non prevalente almeno), ma emotivo e psicologico.
Il problema sociale, tra l'altro, com'è per definizione, è un problema che deriva dall'insieme degli individui. Dunque, tanto il problema, quanto la soluzione è individuale/psicologico e può riguardare ognuno di noi, sia come attori, che come genitori di nuove generazioni, che come componenti della società.
La violenza sulle donne è solo la punta dell'iceberg di un crescendo di asocialità e di violenza generale,  che nasce dalla disfunzionalità emotiva (incapacità di relazionarsi in modo funzionale) che investe milioni di persone (donne, uomini e bambini) ed è più evidente e conflittuale all'interno della coppia.
Questo è il vero problema e può riguardare tutti!

"La ricerca scientifica sulla violenza familiare è stata condotta in passato prevalentemente dai sociologi e non dagli psicologi. I sociologi, infatti, sono attratti dal cambiamento nella natura della società, piuttosto che dal cambiamento dei rapporti di coppia o all'aiuto nei confronti dei singoli individui. Così i sociologi  tendono a vedere la donna vittima di fattori sociali quali il patriarcato e a non riconoscere che il predominio dell'uomo nella società e nella famiglia è solo uno dei fattori di rischio per la coppia." (Murray A. Straus)

Le cause della violenza sulle donne non sono di tipo sociale,  ma soprattutto individuali, emotivi e relazionali e finchè non si comprende questo, il riflettore resta puntato sulla conseguenza e non sulla causa.




LE CAUSE NON SONO IL MASCHILISMO E LA DISUGUAGLIANZA

Giacchè le statistiche sono il perno del 25 novembre giornata contro la violenza sulle donne, parliamone, in modo completo, in modo da ampliare la visione ed avere un reale e costruttivo progetto sulla prevenzione della violenza sulle donne.
La prospettiva politica e sociale sono diffusamente centrate sulla disuguaglianza di genere e la cultura maschilista tra le cause della violenza sulle donne.
E' un punto di vista valido, ma incompleto e soprattutto limitante, perchè glissa le responsabilità individuali, di ognuno di noi, per puntare il dito verso l'esterno, di fatto meno controllabile.
A dare evidenza di tale limite è  il fatto che i paesi in cui si  registra il maggior numero di violenze domestiche contro le donne siano quelli che, più di altri al mondo,
rispettano l’uguaglianza di genere (tutti nel nord Europa: Islanda, Finlandia e Norvegia).
Questa contraddizione viene chiamata “paradosso nordico”.

Ogni anno  il World Economic Forum (WEF) pubblica il Global Gender Gap Report, che misura il divario quantitativo tra uomini e donne in quattro settori della società.
L’ultimo rapporto del 2021, presenta Islanda, Norvegia e Finlandia ai primi tre posti, mentre l’Italia è all’63esimo.
Uno studio pubblicato, nel 2016, su Social Science & Medicine, da Gracia e Merlo, riporta che, nei paesi nordici, tra il 20 e 30% delle donne, in media, ha subito violenza domestica: il 32% in Danimarca, il 30% in Finlandia, il 28% in Svezia, il 26,8% in Norvegia e il 22% per cento in Islanda.
Portogallo, Italia e Grecia, che sono molto indietro rispetto ai paesi nordici per quanto riguarda l’uguaglianza di genere, hanno invece tassi molto più bassi di violenza domestica contro le donne.
La tendenza è confermata anche osservando solo i dati relativi alle molestie sessuali (15% in Italia, 32% in Danimarca, 27% in Svezia e Paesi Bassi).

Alcune spiegazioni di questo fenomeno affermano che il motivo risiede nell'alta consapevolezza delle donne scandinave, che tollerano meno e denunciano di più (dato però non confermato statisticamente).
Altri invece attribuiscono la maggior percentuale di violenza sulle donne, nei paesi più emancipati, alla maggiore libertà delle stesse, che le esporrebbe maggiormente al rischio.
Tuttavia, la gran parte delle spiegazioni attribuisce la violenza sulle donne ad una latente cultura maschilista, in cui la donna troppo emancipata scatenerebbe una violenza di tipo vendicativo, da parte di uomini frustrati.

Al fine di una dissertazione intelligente e di stimolare il coraggio di pensare, io credo possa essere utile analizzare i dati emergenti da un paese tra i più popolosi al mondo, in cui la disparità di genere, tra uomini e donne, è maggiore, il maschilismo è preponderante e quindi la frustrazione maschile potrebbe essere più bassa: la Cina.
Contrariamente ai paesi nord europei, tra i più virtuosi per la parità di diritti tra uomini e donne, in Cina, non solo la discriminazione di genere è peggiorata nettamente negli ultimi 15 anni, ma essa è l’unico paese al mondo in cui le donne sono state discriminate e rifiutate ancor prima di nascere, fino a qualche anno fa (quando vigeva ancora la cultura del figlio unico, preferibilmente maschio), sviluppando una indole profondamente docile e servizievole, nonché di instancabili lavoratrici. A questa indole, si è sommata l'idea, ivi sviluppatasi intorno agli '80/'90, che le capacità femminili dovessero essere applicate ad un lavoro di tipo femminile, possibilmente tra le mura domestiche. Il numero delle donne che lavora “fuori casa” è così diminuito vistosamente negli ultimi anni, accrescendo ancor più il gap tra uomini e donne, ovvero disparità e disuguaglianza.
La cultura cinese non è solo fortemente maschilista, ma la percentuale di uomini è nettamente superiore ad altre parti del mondo, ciò può indurre una inevitabile solitudine maschile, che facilmente può sfociare in aggressività, nonchè un aumento di aggressività e competizione tra pari. Eppure, in base ai dati forniti dalla Federazione nazionale delle donne cinesi, a subire violenza domestica è circa il 30% delle donne sposate, ovvero un numero simile a quello danese.

La medesima discriminazione di genere e sottomissione femminile, la si trova in molte altre culture.
In Brasile o Colombia la disparità di genere è maggiore,  il tasso di omicidî è enorme, ma la proporzione di donne tra le vittime è bassissima.
Così, in altre società come quella indonesiana, filippina e vietnamita, in cui  non solo la donna viene percepita come sottomessa, ma viene addirittura addestrata ad essere remissiva e servile, da un programma governativo serratissimo, il tasso di violenza verso le donne è molto basso.


Di fatto senza disturbarci troppo con analisi statistiche sulle differenze sociali in altri paesi, che nemmeno conosciamo, appelliamoci semplicemente al senso comune ed al nostro vissuto personale.
E' innegabile che nell'ultimo secolo abbiamo fatto passi da giganti e che per fortuna c'è molta più sensibilità ai temi relativi alla parità dei diritti ed un evidente calo della visione maschilista. Basta pensare alle nuove generazioni, alle nostre famiglie, a quelle dei nostri genitori o nonni e la diminuzione del maschilismo e del patriarco si tocca con mano, eppure i femminicidici non sembrano affatto diminuire.
Questo grafico della Polizia di Stato riporta chiaramente che tra il 1992 ed il 2006, addirittura c'è stato un crescendo di vittime femminili.
grafico-vittime-di-omicidio-donne-uomini-1992-2006

Truenumbers  evidenzia un leggero calo generale delle vittime femminili negli anni tra il 2002 ed il 2014, ma un aumento tra le vittime per mani di omicidi partner (anche tra gli uomini).
vittime omicidi donne uomini tra il 2002 ed il 2014



Lo stesso dato lo evidenzia il grafico della Direzione centrale della polizia criminale (DCPC) e della banca dati sugli omicidi volontari del Ministero degli Interni, specificando la natura dell'omicida, tra gli anni 2002-2019. Calano gli omicidi per mano di autore non identificato o sconosciuto, ma aumentano nettamente le vittime di omicidio per mani conosciute, con particolare rilievo ed evidenza da parte di un partner o ex (linee rosse e arancione), numero che risulta pressochè doppio rispetto all'inizio.
grafico vittime di omicidio per relazione con l'autore 2002-2019
E' questo il primo dato rilevante, che ci deve far riflettere: aumentano in generale, tra uomini e donne, gli omicidi di partner.
Questo è un chiaro indice di una disfunzionalità relazionale ed emotiva.
Qual'è infatti il contesto in cui più facilmente si perde la testa? Quello dove entrano in gioco le emozioni ed i sentimenti ed in cui c'è il numero più alto di interazioni, quello delle relazioni col partner, soprattutto dell'altro sesso con cui le incomprensioni sono maggiori.
Lo sappiamo tutti, non ci vuole la scienza e nemmeno le statistiche.

Il secondo fattore che ci balza agli occhi è che il numero di crimini commessi dagli uomini verso le donne è maggiore rispetto a quello delle donne ed abbiamo già visto che non è una questione di cultura o non prevalente.





LA VERA CAUSA DELLA VIOLENZA

In sintesi, dunque, il problema cruciale non è il maschilismo, ma il fatto che le persone hanno scarsa maturità emotiva, non sono infatti più in grado di gestire le emozioni e le frustrazioni, inoltre sono molto più fragili e insicure e troppo concentrate sull'appagamento dei propri bisogni, incuranti della sofferenza altrui, ovvero con scarsa empatia ed entrambe queste carenze riducono la capacità di agire in modo intelligente emotivamente.
Infatti, la violenza è una azione dannosa contro qualcuno (che spesso si rivela dannosa anche per sè stessi).
In questa definizione è compresa l'origine del problema: una azione dannosa, ovvero l'incapacità di agire in modo vantaggioso (mancanza di intelligenza emotiva), verso un'altra persona (mancanza di empatia) e persino verso se stessi (mancanza di maturità emotiva).
Se vogliamo prevenire, dobbiamo evitare o ridurre questa incapacità e per poterlo fare dobbiamo comprendere cosa la genera.
L'incapacità di agire in modo intelligente emotivamente è più marcata in caso di allarme per la sopravvivenza, ovvero in situazioni di forte emotività e di relazioni tra partner.
La capacità di agire in modo intelligente emotivamente è condizionata dal grado di maturità/consapevolezza emotiva e di empatia, nonchè dal sesso dell'aggressore.


SEQUESTRO EMOZIONALE

Quante volte nonostante tutti i buoni propositi, l'amore o i "lavori interiori" effettuati, di fronte a certe situazioni perdiamo il lume della ragione o agiamo in modo meccanico o semplicemente non riusciamo a gestire le emozioni, ovvero manifestiamo immaturità emotiva?
Si chiama "sequestro emozionale"!

Le informazioni emotive, che solitamente salgono dalla parte del cervello più antico fino alla regione prefrontale, più evoluta, per essere elaborate e gestite, se hanno un forte connotato emotivo ed in qualche modo minacciano la nostra sopravvivenza (o quella della relazione, che è vitale, per la specie) vengono seguestrate da una area del cervello chiamata amigdala, che significa mandorla. Per usare una metafora, le mandorle  amare hanno una piccola quantità di cianuro. Il cianuro, in dose tossica, causa ansia, ipertensione, tachicardia, vomito e ridotta ossigenazione cellulare... Non vi sembrano questi gli stessi sintomi legati alla paura e ad un cervello non ossigenato che non riesce a ragionare? L'amigdala è il sistema di allarme del cervello, che elabora le informazioni ambientali per scatenare una eventuale guerra o fuga.
Questo meccanismo si è ovviamente sviluppato a salvaguardia della vita e della specie ed è assolutamente funzionale.
Diventa disfunzionale quando siamo insicuri e troppo sensibili (e dipendenti) alle informazioni esterne, quando cioè ci sentiamo minacciati nella nostra sicurezza/stabilità.
Più si è insicuri dentro, più si cercano sicurezza fuori, più ne diventiamo dipendenti emotivamente, più ci facciamo condizionare e più diventiamo fluidi, liquidi, instabili, iperemotivi ed incapaci di gestire le emozioni e/o calarci nei panni altrui, troppo presi dal recuperare il nostro senso di sicurezza.
Se a far scattare l'allarme è la minaccia alla nostra sicurezza ed essa è direttamente proporzionale al nostro grado di insicurezza e di dipendenza emotiva dall'esterno, ne va da sè che l'insicurezza/fluidità è un fattore cruciale.
Quando non riesciamo a gestire il carico emotivo si può verificare un sequestro emozionale che innesca il meccanismo lotta o fuggi. Indovinate quale dei due meccanismi è prevalente nei maschi e quale nelle femmine?



PERCHE' LE VITTIME DONNE SONO DI PIU' DEGLI UOMINI?

Quante volte vi siete chiesti perchè gli uomini uccidono più delle donne o perchè le donne uccidono meno degli uomini?
Tra il 2000 ed il 2018, gli omicidi compiuti da uomini verso una partner femminile sono più o meno doppi, rispetto a quelli delle donne verso il partner maschile e c'è da considerare che le violenze verso gli uomini sono spesso reattive ad abusi subiti.
indidenza vittime maschili e femminili 2000-2018

Quante volte, osservando i bambini, avete notato che i maschietti sono più litigiosi, aggressivi o finiscono di più alle mani rispetto delle femminucce?
In questo report dell'Istat, possiamo vedere che tra gli atti persecutori negli adolescenti, lo stalking si configura come un reato di genere: il numero delle vittime donne è 3 volte quello dei maschi, nelle classi 14-18 anni e 6 volte maggiore nelle classi di età 18-24.

vittime di atti persecutori tra adolescenti x sesso 2010-2018
Rilevante notare che tra il 2010 ed il 2017 le denunce di atti persecutori negli adolescenti sono raddoppiate, crescono l'informazione e la consapevolezza e quindi il coraggio di denunciare o cresce il tasso di violenza, ovvero il disagio emotivo delle nuove generazioni, così come tra gli adulti?

La risposta al perchè l'aggressività sia maggiore nei maschi e più bassa nelle femmine è insita nella struttura neuronale del cervello ed è assolutamente funzionale alla sopravvivenza della specie. Non c'è una categoria che sia meglio dell'altra al fine del mantenimento della specie umana. Ogni tipologia di cervello è perfetta per il suo scopo.

Il cervello degli uomini si è strutturato per millenni per agire, cacciare, difendere. 
Il cervello delle donne invece si è strutturato per accogliere, capire, comunicare, curare i legami, gestire le emozioni ed evitare i conflitti (fuga). In esse, le aree di connessione, come il corpo calloso, sono più grandi di quelli maschili e le aree del linguaggio più attive.
I maschi possono facilmente finire a scazzottate e poi andarsi andare al bar insieme. Le femmine invece cercano disperatamente, in tutti modi possibili di evitare il conflitto e di risolverlo, chiarendo e parlando fino allo sfinimento. Quando poi il conflitto si innesca, fanno un muso lungo una quaresima e se ne ricordano per sempre! Il motivo risiede nella struttura cerebrale.

Nelle femmine domina l’ossitocina, l'ormone del benessere femminile, che ne riduce il livello di stress e favorisce tutto ciò che è connesso al legame ed alla socialità
Gli studi dimostrano che  iniezioni di ossitocina nel cervello di animali riducono il comportamento aggressivo.
L’ossitocina è un ormone complesso fortemente legato ai legami sociali all’interno di molte specie animali, non solo quella umana.
Alcuni scienziati dell’Università di Zurigo hanno scoperto che l’ossitocina promuove un sentimento di fiducia negli altri. La fiducia che spesso manca da parte del carneficie o omicida e può far uccidere per gelosia.

L'ossitocina dunque favorisce la fiducia e la propensione sociale e riduce l'ansia e la paura, agendo a livello dell'amigdala, la mandorla amara che può sequestrare le emozioni e farci agire in modo irragionevole. L'amigdala infatti è il centro di controllo e gestione della paura, del lotta o fuggi, funzione che necessita di adeguata  interpretazione delle espressioni facciali ed i segnali emotivi altrui. Uno studio collaborativo tra i ricercatori dell’Università della Pennsylvania, della Yale University e della Duke University, ha infatti scoperto i danni all’amigdala sono associati a compromesse capacità sociali, invece l’ossitocina  introdotta in una regione specifica dell’amigdala, aumentava istantaneamente i comportamenti pro sociali.

Più ossitocina
è stimolante prosocialmente, ma la troppo alta concentrazione di ossitocina nel sangue e/o nel cervello porta a comportamenti aggressivi di protezione del proprio nucleo sociale. Inoltre, diversi studi hanno dimostrato che il trattamento con ossitocina può essere di aiuto a persone con disturbi dello spettro autistico (ASD) nell’interpretazione e comprensione degli stimoli sociali, ma non ha nessun effetto su altre situazioni come l'ansia sociale, le instabilità familiari, le sindromi borderline e ossessivo compulsive, che non danno risposta al trattamento con ossitocina come farmaco esogeno.

Tutto questo ci dice che l'ossitocina promuove sentimenti, comportamenti e relazioni sociali positivi, ma se in dose adeguata e naturalmente prodotta.
Quindi
l'ossitocina è un neurotrasmettitore prosociale necessario allo sviluppo di empatia e intelligenza emotiva, ma non un farmaco miracoloso, non possiamo agire dall'esterno verso l'interno.
La produzione di ossitocina però viene favorita dalla empatia e dalle azioni prosociali, quindi da quelle azioni intelligenti che creano vantaggio a tutti, cioè dalla intelligenza emotiva.

Partendo dunque dall'assunto che la violenza è una azione dannosa contro qualcuno e che questa incapacità dipenda molto dal grado di empatia, ovvero dai neurotrasmettitori e dalle aree cerebrali coinvolte in questa capacità, possiamo pensare che migliorando questa capacità, ovvero il livello adeguato e naturalmente indotto dei neurotrasmettitori coinvolti, potremmo avere un livello più basso di violenza, non solo contro le donne, ma contro tutti e tutto, ovvero un maggiore livello di cooperazione prosociale.

La domanda dunque più logica è: come fare in modo di sviluppare empatia ed intelligenza emotiva, ovvero di produrre un adeguato livello di ossitocina?

Nei miei almanacchi consiglio, ogni giorno, le attività utili in tal senso, ma intanto qui vi ricordo che il nostro corpo si è perfettamente evoluto al fine prosociale, quindi basterebbe rispettare di più la nostra natura e considerarci esseri non solo pensanti, ma anche con un corpo ed un cuore, per migliorare le cose.
Tuttavia, brevemente è bene che vi dica che l'ossitocina, questo ormone straordinario prosociale, che crea legami e favorisce il contatto fisico ed emotivo, la cura e l'empatia, viene naturalmente prodotto dal corpo in tutte le attività di contatto fisico ed emotivo, ovvero di empatia e di prosocialità (e non solo). Dunque vi è non solo corrispondenza bidirezionale tra empatia/socialità ed ossitocina, ma anche di imprescindibilità.
Non c'è empatia senza ossitocina, non c'è ossitocina, senza empatia.

Vogliamo diminuire la violenza?
Dobbiamo aumentare l'empatia e la capacità di agire in modo prosociale, perchè avere una grande empatia non significa necessariamente saper agire in modo vantaggioso. Pensiamo al semplice fatto che nelle dinamiche di violenza accade di frequente che, soprattutto inizialmente, la vittima tenda a dare una giustificazione ai comportamenti del carnefice, avallandoli di fatto.
Quindi il perno è la capacità di agire con intlligenza emotiva, il che necessita sia di maturità emotiva, che di empatia, ovvero della consapevolezza e gestione delle proprie emozioni, nonchè di quelle altrui.

Queste abilità sono abitudini relazionali che derivano dalle nostre relazioni con i nostri genitori, consolidate in anni ed anni. Sono site nel cervello limbico, al di sotto di quello cognitivo razionale, nella regione prefrontale. Dunque non si apprende sui libri o con le chiacchiere o con la ragione, peraltro drammaticamente bloccato
durante un sequestro emozionale.

Le abilità relazionali sono abitudine e come tutte le abitudini si apprendono col tempo, con le ripetizioni, con le novità e con le ricompense.
Quali ricompense? Quelle relazionali appunto!
Infatti dipendono e si imparano dalle relazioni coi genitori  e con la madre in particolar modo, che inonda in bambino di ossitocina durante il parto e tutte le volte che lo tiene a contatto col suo corpo o gli fornisce contatto emotivo. E' proprio questo continuo contatto fisico ed emotivo che, oltre a produrre ossitocina, attiva i neuroni specchio (per imparare imitando), suscita azione e reazioni emotive (maturità emotiva), genera nel bambino la sufficiente sicurezza emotiva e relazionale.

Pensateci un attimo.
Quando i genitori sono presenti, i bambini non sono forse più sicuri nell'esplorare l'ambiente ed interagire con gli altri?
E non sanno anche giocare da soli se la mamma è in un'altra stanza?
Quand'è che i bambini invece diventano ansiosi e vogliono stare sempre al centro dell'attenzione? Quando si sentono abbandonati o traditi da uno dei due genitori, che non da loro il contatto fisico ed emotivo di cui abbisognano naturalmente.

E' proprio questa ansia, ovvero paura, che può innescare il sequestro emozionale, ma comunque condiziona le relazioni, facendole divenire di tipo insicuro, ansioso, ossessivo, dipendenti affettivamente o narcisistiche, come vedremo di seguito.


COMPORTAMENTI ANTISOCIALI

Abbiamo visto sopra che ad originare la violenza, cioè l'azione dannosa verso un'altra persona, può esserci una incapacità decisionale data dal malfunzionamento delle emozioni che possono risultare anestetizzate in alcuni casi (narcisismo) o ipertrofici in altri casi (dipendenza emotiva, sindromi ossessive/paranoiche) o alternati tra essi (borderline) e si accentuano in caso di relazioni tra partner e di minaccia per la sopravvivenza e che la ridotta capacità empatica è una determinante fondamentale.
Che evidenze abbiamo di questo?
Ne ho già parlato diffusamente in articoli specifici cui vi rimando.
Qui mi limito a ricordare 3 situazioni di violenza che ho analizzato:
  1.  la prima si riferisce al fenomeno degli haters, dei trolls e della violenza in generale nella popolazione,
  2.  la seconda è quella degli omicidi da parte dei figli verso i genitori,
  3.  la terza è quella inerente i segnali dall'allarme della violenza verso le donne (lo pubblicherò nei possimi giorni).
Nel primo caso, l'odio è una forma di controllo e di potere sugli altri, con cui si cerca l'affermazione di sè, ovvero dell'"io sono ok, tu non sei ok" (narcisismo). E' implicita una chiusura del cuore e una incapacità di provare empatia che può trasformarsi in sadismo e volontà di fare del male.
Nel secondo caso, il comportamento antifamiliare rimanda ad una disfunzione relazionale ed un attaccamento insicuro verso i genitori, caratterizzato da personalità insicure prevalentemente anaffettive, narcisistiche O dipendenti affettivamente, spesso collusive e complici tra loro.
Nel terzo caso, le ricerche dimostrano che chi fa violenza sulle donne, rientra in uno scenario di controllo, manipolazione e assenza di valori morali.  

Ciò che emerge dall'analisi dei dati è la diretta conferma di quanto insito nella stessa definizione di violenza, ciòè l'incapacità di agire in modo intelligente emotivamente a causa della mancanza di empatia e della insicurezza, ovvero della eccessiva dipendenza dall'esterno che crea personalità fluide ed insicure.
Una identità sempre più liquida ad ogni livello ed in ogni contesto, senza basi solide e sistemi valoriali di riferimento, che fonda il proprio sentirsi “ok” sul “qui ed ora”, totalmente intollerante alla frustrazione.
Un modo diverso per dire “tutto e subito”, "non mi importa del passato, né del futuro, né di aspettare, né di te. Tutto passa, anche tu!"
Ecco allora che il sé diventa il centro di tutto, completamente menefreghista rispetto alle conseguenze delle proprie azioni.


IL FALLIMENTO DELLA EMPATIA

L'insicurezza e la fluidità causano un sempre maggiore bisogno di controllo.
Le persone, le relazioni, le cose, le azioni, diventano sempre più spesso oggetti/strumenti di manipolazione, per sentirsi “ok”, per sentirsi in potere.
L'egoimo impera dietro la grande vulnerabilità alla frustrazione.
La società diventa sempre più narcisistica.
I social ci influenzano sempre di più, in modo distorto, anichilendo la nostra volontà e distruggendo le nostre relazioni.
L'ego la fa da padrone, mentre il cuore soccombe, a danno della empatia, della socialità e della intelligenza emotiva.

Se gli esseri umani, che sono esseri viventi di tipo sociale, ovvero fatti per vivere in comunità ed in relazione stabile, non hanno capacità empatiche, cioè la consapevolezza delle proprie emozioni e di quelle altrui, come è possibile agire in modo intelligente emotivamente, ovvero in modo da ottimizzare i vantaggi per tutti e minimizzare i danni arrecabili?
Non è possibile!

L'intelligenza emotiva è la capacità di agire in modo intelligente evolutivamente, ottimizzando i vantaggi per tutti.
Alla base della intelligenza emotiva, c'è la consapevolezza emotiva, cioè l'empatia.

L'empatia, è la capacità di guardarsi dentro e di guardare fuori dal proprio sé, confrontandosi con l'altro. Essa si fonda sulla capacità di sentire le proprie emozioni (maturità emotiva) e si forma tramite il confronto continuo col proprio genitore, che risponde alle emozioni del bambino, con altre emozioni, suscitandone altre ancora, in un ciclo continuo di sensibilità, accoglienza e risposta emotiva.
Senza empatia, non è possibile scegliere ed agire in modo intelligente emotivamente, per se stessi e per la specie.
Senza intelligenza emotiva, le emozioni e le frustrazioni diventano ingestibili e devastanti.

Noi pensiamo sempre al disagio emotivo, ai disturbi di personalità ed alla criminalità, come a qualcosa lontano da noi, che non ci può accadere o riguardare, invece, come abbiamo visto nel caso dello studio sugli effetti dei selfie sulla personalità, è qualcosa di molto più vicino di quanto pensiamo.
La società narcisistica ci circonda ed influenza e la violenza è dietro l'angolo.
La violenza riguarda tutti, in qualche modo.

La violenza è dunque l'espressione del fallimento dell'empatia e della intelligenza emotiva, ovvero del modello relazionale che abbiamo imparato da bambini.

Per questo, prima di puntare il dito sulla società o sulla politica (che indubbiamente hanno un ruolo importante) dovremmo pensare alla responsabilità che abbiamo noi tutti, singolarmente, sia come genitori o educatori o esempi viventi, sia come attori sociali e relazionali.



PROGETTO DI PREVENZIONE DELLA VIOLENZA SULLE DONNE

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO/OMS) ha lanciato il programma RESPECT, ma tra le 7 strategie per combattere e prevenire la violenza contro le donne, solo 1, la prima, è di tipo psicologico ed è davvero rilevante nella prevenzione e certo non si può imparare sui libri. Tutte le altre sono strategie sociali, certamente utili a garantire protezione e tutela alle donne, ma non prevenzione.

R–elationship skills strengthened = rafforzate capacità relazionali
E–mpowerment of women = aumento delle capacità di autodeterminazione delle donne
S–ervices ensured = garantire alle donne tutti i servizi necessari
P–overty reduced = riduzione della povertà
E–nvironments made safe = sicurezza e protezione dell’ambiente
C–hild and adolescent abuse prevented = prevenzione e protezione degli abusi contro i bambini e gli adolescenti
T–ransformed attitudes, beliefs, and norms = cambiare le attitudini, le credenze, le norme, cioè eliminare le disuguaglianze

Questa non è prevenzione!


In generale, la prevenzione può avvenire a 3 livelli:
1) la prevenzione primaria si attua in seno alla famiglia, dove si definiscono i modelli relazionali da adulti, facendo in modo che le normali ferite emotive non si trasformino da occasione di crescita, a disagio e disfunzionalità emotiva;
2) la prevenzione secondaria si attua nel contesto della disfunzionalità emotiva, o del disturbo di personalità o della malattia mentale, cercando di evitare la violenza e la delinquenza;
3) la prevenzione terziaria si attua nel contesto della delinquenza ed è diretta ad impedire le recidive.

Capite bene che il terzo livello, quando viene adottato, ha già mietuto delle vittime e che il secondo è molto spesso difficile da attuare, sia per la normalità sociale e relazionale in cui la disfunzione emotiva si inserisce, sia per la difficoltà diagnostica e di riscontro, anche per frequente collusione della vittima. Quindi, è il primo livello quello della vera prevenzione.

Il carattere delle persone e delle relazioni si cristallizza in tutta la vita, ma si definisce nei primissimi anni, da 0 a 7, quando il pensiero razionale non è ancora maturo, quando il cervello registra tuto quello che gli accade intorno per trasformalo, successivamente, in convinzioni, che diverrano azioni, abitudini, carattere.
In questa fase l'apprendimento è di tipo imitativo e reattivo e si attiva anche tramite i neuroni specchio.

L'equilibrio di un bambino è molto delicato e facilmente influenzabile dall'atteggiamento e dalla presenza del genitore.
Pertanto, la prevenzione va fatta prima ancora che si diventi genitori, poi nei primi anni di vita e continuarla per tutta la vita.



INTELLIGENZA EMOTIVA COME MEZZO DI PREVENZIONE

Se il crimine nasce da azioni egoistiche non vantaggiose per gli altri e la società, ovvero dalla asocialità, dalla mancanza di empatia e di intelligenza emotiva e vogliamo prevenire il crimine, dobbiamo aumentare l'intelligenza emotiva dei bambini e degli adulti.

ATTENZIONE! Preciso che sto parlando di intelligenza emotiva come mezzo di prevenzione, non di empatia.
L'intelligenza emotiva non è empatia, benchè si fondi su di essa. L'intelligenza emotiva è un'azione, una abitudine, finalizzata al vantaggio di tutti.
L'empatia non è maturità emotiva e nemmeno emotività. L'empatia è la consapevolezza emotiva delle proprie ed altrui emozioni e nasce dalla maturità emotiva.
La maturità emotiva è la capacità di gestire ed avere consapevolezza delle proprie emozioni (a breve termine) e sentimenti (a lungo termine), ovvero l'emotività...

A sostegno del fatto che il valore aggiunto sia l'intelligenza emotiva, piuttosto che l'empatia, è una interessante ricerca del 2016, sulla distribuzione mondiale della empatia, condotto dalla Michigan University, in collaborazione con quella di Chicago e dell’Indiana.
Dai risultati emerge che il paese più empatico è l’Ecuador, cui fanno seguito Arabia Saudita, Perù e Danimarca.  Come abbiamo già visto sopra, nel paradosso nordico, la Danimarca è tra i paesi anche più garantisti di tutela, eppure al primo posto come violenza domestica verso le donne. Così l'Arabia Saudita (come Emirati Arabi e Kuwait, tra i primi posti in cassifica per il grado di empatia) ha una lunga storia di guerre e aggressioni con i paesi confinanti. Perché? “Il loro punteggio così alto in classifica potrebbe essere dovuto a un limite del nostro sondaggio online che non riesce a distinguere tra l’empatia per le persone provenienti da paesi diversi e quelli del proprio paese” ha dichiarato William Chopik, uno degli autori dello studio.
E' interessante notare che dallo studio emerge che, come già detto, l’empatia è maggiore nei paesi in cui i cittadini hanno uno spiccato senso della collettività (socialità) e che gli studenti americani, negli ultimi venti anni, sono diventati meno empatici a causa dei social media e del mutamento del sistema familiare, meno attento alle cure parentali. 

In sintesi, la maturità emotiva, ovvero la consapevolezza delle proprie emozioni è ciò che permette di attivare la funzione riflessiva e la capacità di prevendere le emozioni altrui. Questa capacità si chiama empatia. Quando all'empatia si somma una azione vantaggiosa per tutti, quindi nè egoistica, nè solo altruistica, si genera intelligenza emotiva.

Se la capacità empatica e l'azione che ne consegue nasce dallo stile di attaccamento con i genitori e soprattutto con la madre, facciamo in modo tale che questo attaccamento sia sicuro o quantomeno lo sia il più possibilequesta è prevenzione primaria.



PREVENZIONE PRIMARIA

Come si può fare prevenzione primaria?
Con la presenza e l'accudimento sia fisico che emotivo.
Ricordiamo che la presenza attiva i neuroni specchio.
Ricordiamo che l'empatia, è stato dimostrato, è correlata alla capacità riflessiva (di riflettere, come lo specchio) e che gli adulti capaci di parlare delle proprie emozioni, hanno maggiore maturità emotiva e maggiori probabilità di avere dei figli con uno stile di attaccamento sicuro.

In primis dunque, genitorialità consapevole.
"Fare i figli è diverso da essere genitori", dice Kekko Silvestre dei Modà. 

Tutte le madri dovrebbero ricordare ciò che hanno dimenticato e che gli animali ben sanno.
Nessun rapporto può essere pari a quello madre-figlio, in cui il contatto emotivo avviene già nella pancia.
I cuccioli hanno bisogno della madre finchè non sono autonomi e se questo contatto è garantito, essi crescono equilibrati e sani.
Se invece la presenza materna non è garantita, o altalenante o ambivalente, i bambini crescono insicuri, attuando schemi comportamentali per ripristinare questa sicurezza ed a dimostrarlo è una copiosa mole di studi e ricerche sulla deprivazione materna, a partire da Bowbly, dal post dopo guerra.

Se la madre sarà assente totalmente o per lunghi periodi, il bambino si rassegnerà. Sarà inutile arrabbiarsi o cercare di attirare l'attenzione, esso dovrà fare affidamento sull'apprendimento dei valori sociali, per sopravvivere e sarà fortemente empatico. Forse troppo, al punto di mettere gli altri prima di sé stesso.

Se la madre sarà invece presente in modo altalenante, perchè per es. lavora, o sarà anaffettiva, il bambno farà di tutto per evitare la separazione, con comportamenti ansiosi che potranno essere tesi a suscitare pietà oppure a suscitare ammirazione. Il bambino, in questo caso, sarà così incentrato su se stesso e sul bisogno di attenzione, che difficilmente potrà concentrarsi su qualsiasi altra persona, che userà invece per i propri scopi. Inoltre, la presenza altalenante della madre o la sua anaffettività, gli daranno più problemi a sviluppare empatia, attraverso il confronto e l'attivazione dei neuroni specchio.

Non conta dunque la qualità (o comunque non solo), ma la quantità della presenza materna.
Come diceva Bowbly, meglio una pessima madre, che una buona istituzione!

I bambini hanno bisogno di presenza materna continua, i primi anni di vita.
Hanno bisogno di contatto fisico, che stimola la produzione di ossitocina, l'ormone della socialità e quindi dell'empatia.
Hanno bisogno di contatto emotivo.
Hanno bisogno di potere sentire e comunicare le proprie emozioni.
Hanno bisogno che le loro emozioni siano ascoltate ed abbiano una risposta.
Hanno bisogno di vedere nei genitori la capacità empatica e la gestione intelligente delle emozioni.
Hanno bisogno di confronto e di esempio.
Hanno bisogno di uno specchio in cui vedersi riflessi (funziona riflessiva).

Tutte le donne dovrebbero sapere questo.
Tutti i genitori dovrebbero saperlo.
I genitori devono sapere che una separazione, anche di qualche ora, per un bambino piccolo, è un trauma e non deve essere affrontata con leggerezza.
I genitori devono sapere che i bambini hanno bisogno di due genitori e del senso di famiglia, soprattutto nei primi anni di vita.
I genitori devono sapere anche che i "NO" servono non solo per educare e segnare confini che rendono solide le personalità, ergo con valori morali, ma anche per imparare a tollerare la frustrazione. Oggigiorno i bambini sono abituati al tutto e subito, sono abituati ad usare gli altri ed a crollare emotivamente o peggio diventar violenti ai primi "no".
I genitori devono sapere che il cervello dei bambini è immaturo fino ai 21 anni ed è fondamentale la loro presenza e controllo.
I genitori dovrebbero sapere che internet, i social e gli strumenti mediatici, non solo riducono la capacità relazione, ovvero l'intelligenza emotiva, l'empatia e la maturità emotiva, ma sono fonte di aggressività e violenza, come ogni dipendenza ed essa si genera già a partire da 3 ore al giorno.

Tutte le istituzioni dovrebbero saperlo e favorire, il più possibile l'intelligenza emotiva ed arginare tutto ciò che lo riduce, con campagne informative e/o pubblicità progresso atte ad aiutare in questa consapevolezza e nella creazione di relazioni solide, ma anche, con congedi per maternità più ampi o altre modalità, come il lavoro da remoto o a tempo parziale, che favoriscano il contatto madre bambino nei primi anni di vita.

Le istituzioni, oltre alla famiglia, hanno un ruolo importante nel favorire anche la prevenzione primaria per esempio con percorsi di educazione alla intelligenza emotiva, ovvero alla maturità emotiva ed alla empatia, nelle scuole, di ogni grado, ma soprattutto nelle materne, dove l'intelligenza emotiva viene appresa con l'emulazione e l'interazione sociale, piuttosto che con la mentalizzazione.
Utili possono essere i laboratori teatrali ed i giochi di ruolo, specie quelli con scambi di ruoli.
Se ai bambini fosse insegnato a sentire il loro cuore e quello degli altri, forse crescerebbero nel rispetto e non ci sarebbe alcun bisogno di insegnare a rispettare alcune categorie o punire chi non lo fa.


Tutti noi dovremmo renderci conto che la fallacia emotiva e relazionale, non è una spada di damocle solo sulla testa di alcuni disgraziati, ma in diversa misura, può riguardare tutti noi.
Tutti noi, in misura diversa, abbiamo un bambino interiore ferito,
più o meno profondamente, più o meno significativamente, più o meno consapevolemente ed anche i nostri figli ne avranno, è inevitabile ed è il senso della vita. Quello che noi adulti possiamo fare è fare in modo che queste ferite siano più profonde e disfunzionali possibili.

Questo significa che la violenza riguarda tutti e che tutti noi possiamo fare qualcosa.

Per l'intelligenza emotiva, serve empatia.
Per l'empatia serve la consapevolezza delle proprie emozioni e di quelle altrui, ovvero maturità emotiva.
Per la consapevolezza delle proprie emozioni, serve qualcuno con cui rapportarsi, confrontarsi e comunicare.
Per avere qualcuno che ci faccia da specchio, serve presenza costante, contatto fisico ed emotivo (non solo da bambini e con i bambini, ma anche tra adulti che si amano...).

Non è certo un caso che contatto fisico ed emotivo facciano produrre ossitocina, lo stesso ormone che produce la madre durante il parto e le permette di dimenticare il dolore del parto, lo stesso ormone che viene trasmesso al bambino, che lo produce ogni volta che si sente protetto ed accudito e che favorisce la socialità e l'empatia...



ARTICOLI CORRELATI

  • QUI, puoi ascoltare l'intervista che Radio Radicale mi ha fatto su questo argomento, l'8/12/21. 
  • QUI puoi leggere l'articolo sugli haters 
  • QUI trovi l'articolo sugli omicidi da parte dei figli 
  • QUI troverai i segnali dall'allarme della violenza verso le donne
  • QUI troverai i profili di chi usa violenza sulle donne
  • QUI puoi trovare il richio della fluidità, ovvero della non solidità
E se vuoi migliorare la tua sicurezza emotiva e le tue relazioni, Questo è lo strumento giusto. L'unico che "lavora" come il tuo cervello vuole!
 



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