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INTERVISTE, ANGELA FLAMMINI LA GELOSIA CHE UCCIDE MATERNITA' SURROGATA PRO E CONTRO PROFILO DI CHI FA VIOLENZA PSICOLOGICA RISCHI DELL'INSEGNAMENTO DEL GENDER CAUSE REALI DELLA VIOLENZA SULLE DONNE L' AMORE NON BASTA! SMETTILA DI RENDERLO INFELICE! -IL REGALO CHE FA LA DIFFERENZA -MANIPOLAZIONE SESSUALE -IO PROPRIO NON TI CAPISCO VOLERE NON E' POTERE  -QUANDO SI ARRIVA AL LITIGIO, E' TROPPO TARDI... -INSICUREZZA EMOTIVA, AGGRESSIVITA' VERBALE, HATE

INSICUREZZA EMOTIVA, AGGRESSIVITA' VERBALE, HATER

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A sentire i fatti di cronaca degli ultimi anni o solo il tono delle parole usate, soprattutto post covid-19 (che ha limitato la libertà e favorito la vita (a)social), possiamo facilmente avvertire un crescendo di aggressività, violenza verbale e senso di frustrazione. Una terra di nessuno che anienta l'amore e favorisce la violenza.

Di fatto, il covid, poi la guerra e le difficoltà economiche hanno messo e stanno mettendo a dura prova la nostra capacità di tollerare la frustrazione e di saper attendere il ritorno alla libertà e/o alle vecchie e consolidate abitudini. Ma qual'è il significato di frustrazione. Da cosa dipende e perchè può causare danni?


FRUSTRAZIONE SIGNIFICATO E RISCHI

La frustrazione è un malessere emotivo che deriva dal mancato appagamento di un bisogno o desiderio. 

Quanto più si abbisogna di quel soddisfacimento per sentirsi bene (o "ok"), tanto più ci si concentra egoisticamente su se stessi ed i propri bisogni, incuranti degli altri. Questa dipendenza dall'esterno, ovvero da tutto ciò che può farci stare bene, dipende dalla insicurezza e ansia e ne consegue una persoalità fluida e facilmente mutevole che, quando frustrata, rischia di andare fuori di testa e diventare aggressiva.

Invece, se la personalità è sicura e/o indipendente emotivamente, ha radici forti e valori saldi che le permettono, come ad un salice, di restare centrata anche quando le intemperie discostano i suoi rami e di tollerare la frustrazione e l'attesa. Questo significa che i fattori esterni, ovvero la non accettazione, o il rifiuto, o l'abbandono, o il tradimento, o l'umiliazione, o l'ingiustizia, per quanto possano destabilizzarla, più difficilmente la indurranno a perdere la testa. 

Le persone sicure e/o indipendenti emotivamente, contrariamente a quelle fortemente insicure, dipendenti emotivamente e/o controllanti, poichè non concentrate sui propri bisogni, ma su quelli altrui, hanno una maggiore empatia e quindi maggiori probabilità di sintonizzarsi ed evitare la sofferenza altrui.



ZITTI E BUONI” O RIBELLI E VIOLENTI?

Si rivendica la sacrosanta libertà, con il vessillo del “non giudizio”, incoerentemente giudicando, per primi, coloro che giudicano. In psicologia cognitiva, questo si traduce come "il mondo non è ok"  “tu non sei ok” “io sono ok”. Un atteggiamento egoriferito che cela una grande insicurezza e bisogno di conferme (anche se autoprodotte).

Non c'è da sorprendersi che a vincere Sanremo 2021, nella sua versione più social (e quindi “più giovane”) sia stata una canzone dal tono rock, aggressivo, rabbioso e ribelle, che riecheggia, quasi come fosse un valore, l'essere “fuori di testa”.

Quelle frasi, a mio avviso, dietro la ribellione, parlano di insicurezza emotiva e sono lo specchio di molti giovani d'oggi.

Manifestano il non sentirsi compresi e probabilmente non accettati dal mondo fuori, quelli che vengono definiti “attori”. “Loro non sanno di che parlo”... “Parla la gente purtroppo. Parla non sa di che cosa parla”. 

Un duro, un ribelle con le mani ingiallite dalla dipendenza da fumo, che tirando in ballo la mamma, alla fine, apre il cuore, rivelando il bisogno malcelato di essere accettato e perdonato, nonostante l'essere fuori di testa ed il bisogno di sentirsi come lei, ovvero di sentirsi appartenere a qualcosa, alla famiglia: “Quindi scusa mamma, se sto sempre fuori, ma sono fuori di testa, ma diverso da loro e tu sei fuori di testa, ma diversa da loro. Siamo fuori di testa, ma diversi da loro”. Un legame affettivo, quello con la madre, che è così importante da condizionare i comportamenti futuri di ogni individuo. Un legame affettivo che, se non sicuro, può portare a comportamenti disfunzionali, fortemente ansiosi e controllanti (ferita dell'abbandono, maschera della dipendenza – Lise Bourbeau), oppure rabbiosi ed anaffettivi (ferita del tradimento, maschera del controllore, narcisista – Lise Bourbeau), talvolta borderline (attaccamento disorganizzato – teoria dell'attaccamento).

Insicurezza e ansia, infatti, portano a cercare sicurezza con azioni di controllo o difensive. Questo controllo avviene da parte della mente, da quello che viene chiamato ego, e molto spesso comporta il dover chiudere il cuore o comunque mettere se stessi ed i propri interessi prima di qualsiasi altra cosa. Chiudere il cuore, tuttavia, non significa non provare emozioni, anzi, può essere il contrario, le emozioni possono essere anche ampliate ed esagerate. Infatti, le emozioni sono una interpretazione mentale di ciò che ci accade intorno e quando la mente è fomentata, quando è iperattiva, quando è molto persensibile ai segnali esterni, quando ha una bassa tolleranza ai “no”, quando non riesce ad accoglierli con amore/accettazione ed a restare centrato, si sente “fuori di testa”, ovvero in balia dell'esterno ed incontrollabile emotivamente.

Questo processo diventa chiaro, nella frase: “Se vuoi fermarmi, ritenta. Prova a tagliarmi la testa, perché, sono fuori di testa”. Cioè, se vuoi fermare il mio essere fuori di testa, devi tagliarmi la testa. La testa dunque viene riconosciuta come centro nevralgico, il centro delle convinzioni, il centro del controllo che, se abusato, può portare ad uscire fuori di testa. Se ci pensiamo, non è forse questo il messaggio da più parti profuso, dalle antiche religioni alle dottrine new age, di lasciar andare il controllo mentale/egoico e di aprire invece il cuore?

Quando si è fortemente dipendenti dall'esterno, ovvero dipendenti affettivamente dalla accettazione esterna, bisogna avere radici forti a sostenerci ed una alta tolleranza alla frustrazione. Il quadro che invece sembra dipingersi ai giorni nostri è invece quello di generazioni totalmente in balia dall'esterno e fortemente bisognose di controllo su di esso, che possono chiudersi totalmente alle emozioni, oppure esserne profondamente vittime. In ogni caso, l”io” prende il posto del “noi”!




L'ODIO COME FORMA DI CONTROLLO E DI POTERE

Quando il cuore è chiuso e la maschera difensiva che si indossa è quella del “io sono ok, tu non sei ok”, è probabile che si cerchi di affermarsi attraverso comportamenti aggressivi.

I social network hanno involontariamente favorito la diffusione di comportamenti ostili, definiti “aggressioni elettroniche” (David-Ferdon e Hertz, 2007) e l'emersione di due tipologie personologiche simili, gli haters ed i trolls.

Gli haters sono “odiatori” o “odianti”, che usano l'aggressività verbale, il disprezzo, la contestazione, la critica o l'insulto.

I trolls invece postano messaggi provocatori, fuori tema, senza senso o del tutto errati, con il solo obiettivo di disturbare.

Online, le persone tendono a dire cose in modo meno controllato e più intenso rispetto a come le direbbero faccia a faccia. Suler, 2004, la definisce disinibizione online, alla cui base vi sarebbe la dissociazione tra il reale e l'immaginario, tra il tempo in cui si agisce e la reazione altrui, tra l'immagine che si ha di se stessi e quella che si vuole comunicare, tra il bisogno di riconoscimento e la licenziosità dell'anonimato. Tradotto in altri termini, manca la presenza, il contatto emotivo, la possibilità di mettersi nei panni altrui ed anche la consapevolezza delle proprie emozioni e della propria identità, giacchè essa è virtuale e non reale, nella sua espressione scritta.

Perché si diventa odiatori o provocatori?

In uno studio sui trolls, Shachaf e Hara, nel 2010, hanno identificato come giustificazione dei comportamenti aggressivi la ricerca di attenzione, la vendetta e il desiderio di fare un danno. Pensate che dramma ci sia in quest'ultimo impulso, la violenza intenzionale intra specie, che appartiene solo al genere (in)umano.

Nel 2014, Buckels e colleghi intervistando 1215 soggetti online, confermano questa tesi, mostrando una correlazione significativa tra aggressività e tratti di personalità narcisistica (quindi tesa a ricevere attenzioni e priva di empatia), antisociale e sadica (quindi tesa a recar danno). L’associazione più forte è quella con le personalità sadiche, che hanno in sé l'esercizio del controllo, del potere e del sottomettere.

Coerentemente, dalla ricerca di Craker e March (2016) emerge che il risultato principale ricercato dagli haters è la sensazione di sentirsi potenti, derivante dall’aver arrecato danno ad altri.

Quello dell’hate speech, ovvero della violenza verbale elettronica è un’abitudine che ha a che fare non solo con il mondo dei ragazzi (cyberbullismo), ma anche con quello degli adulti, che certo non è di buon esempio, per i più giovani. 

Gli haters sono diversi per classe sociale, genere, gusti, nazionalità e religione, ma uguali nel connotato cognitivo del pensiero: “gli altri non sono ok, io sono ok!” (come abbiamo già visto per la canzone “zitti e buoni”). Ne viene da sé che un tale pensiero sia legato ad un forte narcisismo ed a tratti depressivi e/o aggressivi, caratteristiche di chi ha la ferita dell'abbandono e la maschera della dipendenza e di chi ha la ferita del tradimento e la maschera del controllo.

In sintesi, l'aggressività verbale è la modalità di controllo attuata al fine di ottenere attenzione e/o di sentirsi in potere, da parte di chi si reputa migliore degli altri. 

Lo sò, non è facile, ma il fenomeno si può arginare. Se l’odio viene ignorato, l'attenzione viene negata. Quindi la risposta migliore è proprio ciò che manca a chi compie questi atti criminosi, la centratura, ovvero il riuscire a non farsi destabilizzare da certi comportamenti e quindi non rispondere alla provocazione.

Certo è che sarebbe meglio prevenire tutto questo, accrescendo l'intelligenza emotiva delle persone e delle nuove generazioni, ovvero la capacità di entrare in contatto emotivo con gli altri e di agire solo per il bene di tutti. C'è solo un modo per farlo, con la qualità delle relazioni, a partire da quelle coi propri genitori, fino a quelle coi nostri pari.



BIBLIOGRAFIA

  • Baldoni Franco 2005. Aggressività, comportamento antisociale e attaccamento University of Bologna
  • Buckels, E. E., Trapnell, P. D., e Paulhus, D. L. (2014). Trolls just want to have fun. Personality and Individual Differences, 67, 97–102.
  • Craker e March, E. 2016. The dark side of Facebook®: The Dark Tetrad, negative social potency, and trolling behaviours. Personality and Individual Differences, 102, 79-84.
  • David-Ferdon, C., e Hertz, M. F. (2007). Electronic Media, Violence, and Adolescents: An Emerging Public Health Problem. Journal of Adolescent Health, 41(6), S1–S5.
  • Erin E.Buckelsa Paul D.TrapnellbDelroy L.Paulhusc 2014 Trolls just want to have fun - Personality and Individual Differences Volume 67, 97-102
  • Shachaf P., Hara N. 2010. Beyond vandalism: Wikipedia trolls - Journal of Information Science
  • Suler J. 2004The online disinhibition effect- Cyberpsychology & behavior,
  • Ziccardi Giovanni 2016, L’odio online.Violenza verbale e ossessioni in rete. Raffaello Cortina Editori

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