A
sentire i fatti di
cronaca degli ultimi anni o solo il tono delle parole usate,
soprattutto post
covid-19 (che ha limitato la libertà
e favorito la vita (a)social),
possiamo facilmente avvertire un crescendo di aggressività, violenza verbale
e senso di frustrazione. Una
terra
di nessuno che anienta
l'amore e favorisce la violenza.
Di
fatto, il covid, poi la guerra e le difficoltà economiche
hanno messo e stanno mettendo a
dura
prova la nostra capacità di tollerare la frustrazione e di
saper
attendere il ritorno alla
libertà e/o alle vecchie e consolidate abitudini. Ma
qual'è il significato di frustrazione. Da cosa dipende e
perchè
può causare danni?
FRUSTRAZIONE SIGNIFICATO E
RISCHI
La frustrazione è un
malessere emotivo che deriva dal mancato
appagamento di un bisogno o desiderio.
Quanto
più si abbisogna di quel
soddisfacimento per sentirsi bene (o "ok"), tanto più ci
si concentra egoisticamente su se stessi ed i propri bisogni,
incuranti degli altri. Questa
dipendenza dall'esterno, ovvero da tutto ciò che
può farci stare bene, dipende dalla insicurezza e ansia
e ne consegue
una persoalità fluida e facilmente mutevole che, quando
frustrata, rischia di andare fuori di testa e diventare aggressiva.
Invece,
se la personalità è sicura e/o indipendente
emotivamente,
ha radici forti e
valori saldi che le permettono, come ad un salice, di restare centrata
anche quando le intemperie discostano i suoi rami e di
tollerare la frustrazione e l'attesa. Questo significa che i
fattori esterni, ovvero la non accettazione, o il rifiuto, o
l'abbandono, o il tradimento, o l'umiliazione, o l'ingiustizia, per
quanto possano destabilizzarla, più difficilmente la
indurranno a perdere la testa.
Le
persone sicure e/o indipendenti emotivamente, contrariamente a quelle
fortemente insicure,
dipendenti
emotivamente e/o controllanti, poichè non concentrate sui
propri bisogni, ma su quelli altrui, hanno una maggiore empatia e
quindi
maggiori probabilità di sintonizzarsi ed evitare la
sofferenza altrui.
“ZITTI
E BUONI” O RIBELLI E VIOLENTI?
Si
rivendica la
sacrosanta libertà, con il vessillo del “non
giudizio”,
incoerentemente giudicando, per primi, coloro che
giudicano. In
psicologia
cognitiva, questo si traduce come "il mondo non è
ok" “tu non
sei ok” “io sono ok”. Un
atteggiamento egoriferito che cela una grande insicurezza e bisogno di conferme
(anche se autoprodotte).
Non
c'è da
sorprendersi che a vincere Sanremo 2021, nella sua versione
più
social (e quindi “più giovane”) sia
stata una canzone dal tono
rock, aggressivo, rabbioso e ribelle, che riecheggia, quasi come
fosse un valore, l'essere “fuori di testa”.
Quelle
frasi, a mio
avviso, dietro la ribellione, parlano di insicurezza emotiva
e sono lo specchio di
molti giovani d'oggi.
Manifestano
il non
sentirsi compresi e probabilmente non accettati dal mondo
fuori, quelli che vengono definiti
“attori”. “Loro non sanno di
che parlo”...
“Parla la gente
purtroppo. Parla non sa di che cosa parla”.
Un
duro, un ribelle
con le mani ingiallite dalla dipendenza da fumo,
che tirando in ballo la mamma, alla fine, apre il
cuore, rivelando il bisogno malcelato di essere accettato e
perdonato, nonostante l'essere fuori di testa ed il bisogno di sentirsi
come lei, ovvero di sentirsi appartenere a qualcosa, alla famiglia:
“Quindi scusa mamma, se sto sempre fuori, ma sono
fuori di
testa,
ma diverso da loro e tu sei fuori di testa, ma diversa da loro. Siamo
fuori di testa, ma diversi da loro”. Un legame
affettivo,
quello
con la madre, che è così importante da
condizionare i comportamenti
futuri di ogni individuo. Un legame affettivo che, se non sicuro,
può
portare a comportamenti disfunzionali,
fortemente ansiosi e
controllanti (ferita dell'abbandono, maschera della dipendenza
–
Lise Bourbeau), oppure rabbiosi ed anaffettivi (ferita del
tradimento, maschera del controllore, narcisista – Lise
Bourbeau), talvolta borderline (attaccamento disorganizzato
– teoria
dell'attaccamento).
Insicurezza e ansia,
infatti, portano a cercare sicurezza con azioni di controllo
o
difensive. Questo controllo avviene da parte della mente, da quello
che viene chiamato ego, e molto spesso comporta il dover chiudere il
cuore o comunque mettere se stessi ed i propri interessi
prima di
qualsiasi altra cosa. Chiudere il cuore, tuttavia, non significa non
provare emozioni, anzi, può essere il contrario, le emozioni
possono essere anche ampliate ed esagerate. Infatti, le emozioni sono
una interpretazione mentale di ciò che ci accade intorno e
quando la
mente è fomentata, quando è iperattiva, quando
è molto persensibile
ai segnali esterni, quando ha una bassa tolleranza ai
“no”,
quando non riesce ad accoglierli con amore/accettazione ed a restare
centrato, si sente “fuori di testa”,
ovvero in
balia
dell'esterno ed incontrollabile emotivamente.
Questo
processo
diventa chiaro, nella frase:
“Se vuoi
fermarmi, ritenta. Prova a tagliarmi la testa, perché, sono
fuori di
testa”. Cioè, se vuoi fermare il mio
essere fuori
di testa, devi
tagliarmi la testa. La testa dunque viene riconosciuta come centro
nevralgico, il centro delle convinzioni, il centro del controllo che,
se abusato, può portare ad uscire fuori di testa. Se ci
pensiamo,
non è forse questo il messaggio da più parti
profuso, dalle antiche
religioni alle dottrine new age, di lasciar andare il controllo
mentale/egoico e di
aprire invece il cuore?
Quando
si è
fortemente dipendenti dall'esterno, ovvero dipendenti affettivamente
dalla accettazione esterna,
bisogna avere radici forti a sostenerci ed una alta tolleranza alla
frustrazione. Il quadro che invece sembra dipingersi ai giorni nostri
è invece quello di generazioni totalmente in balia
dall'esterno e
fortemente bisognose di controllo su di esso, che possono chiudersi
totalmente alle emozioni, oppure esserne profondamente vittime. In ogni
caso, l”io”
prende il posto del “noi”!
L'ODIO COME FORMA DI
CONTROLLO E DI POTERE
Quando
il cuore è
chiuso e la maschera difensiva che si indossa è quella del
“io
sono ok, tu non sei ok”, è probabile che si cerchi
di affermarsi
attraverso comportamenti aggressivi.
I
social network hanno involontariamente favorito la diffusione di
comportamenti ostili, definiti “aggressioni
elettroniche”
(David-Ferdon e Hertz, 2007) e l'emersione di due tipologie
personologiche simili, gli haters
ed i trolls.
Gli
haters sono
“odiatori” o “odianti”, che
usano l'aggressività
verbale,
il disprezzo, la contestazione, la critica o l'insulto.
I
trolls invece
postano messaggi provocatori, fuori tema, senza senso o del tutto
errati, con il solo obiettivo di disturbare.
Online,
le persone tendono a dire cose in modo meno controllato e
più
intenso rispetto a come le direbbero faccia a faccia. Suler, 2004, la
definisce disinibizione
online, alla cui base vi sarebbe la
dissociazione tra il reale e l'immaginario, tra il tempo in cui si
agisce e la reazione altrui, tra l'immagine che si ha di se stessi e
quella che si vuole comunicare, tra il bisogno di riconoscimento e la
licenziosità dell'anonimato. Tradotto in altri termini,
manca la
presenza, il contatto emotivo, la possibilità di mettersi
nei panni
altrui ed anche la consapevolezza delle proprie emozioni e della
propria identità, giacchè essa è
virtuale e non reale, nella sua
espressione scritta.
Perché
si diventa
odiatori o provocatori?
In
uno studio sui
trolls, Shachaf e Hara, nel 2010, hanno identificato come
giustificazione dei comportamenti aggressivi la ricerca di
attenzione, la vendetta e il desiderio di fare un danno. Pensate che
dramma ci sia in quest'ultimo impulso, la violenza intenzionale intra
specie, che appartiene solo al genere (in)umano.
Nel
2014, Buckels e
colleghi intervistando 1215 soggetti online, confermano questa tesi,
mostrando una correlazione significativa tra aggressività
e
tratti
di personalità narcisistica (quindi tesa a ricevere
attenzioni e priva di empatia),
antisociale e sadica (quindi tesa a recar danno).
L’associazione
più forte è quella con le personalità
sadiche, che hanno in sé
l'esercizio del controllo, del potere e del sottomettere.
Coerentemente,
dalla
ricerca di Craker e March (2016) emerge che il risultato principale
ricercato dagli haters
è la sensazione di sentirsi potenti,
derivante dall’aver arrecato danno ad altri.
Quello
dell’hate
speech, ovvero della
violenza verbale elettronica è
un’abitudine
che ha a che fare non solo con il mondo dei ragazzi (cyberbullismo),
ma anche con quello degli adulti, che certo non è di buon
esempio,
per i più giovani.
Gli
haters sono
diversi per classe
sociale,
genere, gusti, nazionalità e religione, ma uguali nel
connotato
cognitivo del pensiero: “gli altri non sono ok, io sono
ok!”
(come abbiamo già visto per la canzone “zitti e
buoni”). Ne
viene da sé che un tale pensiero sia legato ad un forte
narcisismo
ed a tratti depressivi e/o aggressivi, caratteristiche di chi ha la
ferita dell'abbandono e la maschera della dipendenza e di chi ha la
ferita del tradimento e la maschera del controllo.
In
sintesi, l'aggressività
verbale è la modalità di controllo
attuata al
fine di ottenere
attenzione e/o di sentirsi in potere, da parte di chi si reputa
migliore degli altri.
Lo
sò, non è facile, ma il fenomeno si
può arginare. Se l’odio viene ignorato,
l'attenzione
viene
negata. Quindi la risposta migliore è proprio ciò
che manca a chi compie questi atti criminosi, la centratura, ovvero il
riuscire a non farsi destabilizzare da certi comportamenti e quindi non
rispondere alla provocazione.
Certo
è che sarebbe meglio prevenire tutto questo, accrescendo l'intelligenza
emotiva delle
persone e delle nuove generazioni, ovvero la capacità di
entrare in contatto emotivo con gli altri e di agire solo per il bene
di tutti. C'è solo un modo per farlo,
con la qualità delle relazioni, a partire da quelle coi
propri genitori, fino a quelle coi nostri pari.
BIBLIOGRAFIA
- Baldoni Franco 2005.
Aggressività, comportamento antisociale e attaccamento
University of
Bologna
- Buckels, E. E.,
Trapnell, P. D., e Paulhus, D. L. (2014). Trolls just want to have
fun. Personality and Individual Differences, 67, 97–102.
- Craker e March, E.
2016. The dark side of Facebook®: The Dark Tetrad, negative
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potency, and trolling behaviours. Personality and Individual
Differences, 102, 79-84.
- David-Ferdon, C., e
Hertz, M. F. (2007). Electronic Media, Violence, and Adolescents: An
Emerging Public Health Problem. Journal of Adolescent Health, 41(6),
S1–S5.
- Erin E.Buckelsa Paul
D.TrapnellbDelroy L.Paulhusc 2014 Trolls just want to have fun -
Personality and Individual Differences Volume 67, 97-102
- Shachaf P., Hara N.
2010. Beyond vandalism: Wikipedia trolls - Journal of Information
Science
- Suler J. 2004The
online disinhibition effect- Cyberpsychology & behavior,
- Ziccardi Giovanni
2016, L’odio online.Violenza verbale e ossessioni in rete.
Raffaello Cortina Editori
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