Genitorialità
consapevole
"Se
il tuo amore
è ancora oggi per me fondamentale, non potrò mai
amare nessuno in modo equilibrato…"
Dammi
fiducia,
incoraggiami e saprò ripagarti
Un
buon lavoro, una bella casa, una famiglia, un figlio
perfetto.
Non
è forse questo il “sogno” di molte
donne d’oggi?
Nobili aspettative, che derivano spesso da aspettative sociali e
familiari, ma che sempre più si scontrano con un
nuovo e ancora sconosciuto modo
di relazionarsi tra uomo e donna.
Inevitabilmente si scontrano le
esigenze incombenti, le realtà destabilizzanti, i bisogni
frustrati, la
paura di deludere e la difficoltà di “essere
all’altezza”…
Un malessere, non sempre plateale, ma spesso altrettanto pericoloso che
può corrompere la maternità.
Quel ruolo erroneamente ritenuto “istintivo e
facile” ed un figlio che invece, risponde a leggi
sconosciute, scombussola la vita e sovverte tutte le aspettative di
chi, magari, vorrebbe pianificare e controllare tutto.
Un ruolo, che spesso non è maturo e pronto.
Un ruolo talvolta forzato da una gravidanza non programmata o
programmata per risanare un rapporto vacillante.
Un ruolo spesso non sostenuto da un amore profondo e stabile, con il
padre del bambino.
Fino a qualche anno fa, i ruoli tra uomo e donna erano ben delineati.
L’uomo provvedeva al mantenimento materiale della famiglia e
la donna a quello strumentale. La donna aveva vicino a sè le
altre donne
della comunità, dalle quali,
al bisogno, aveva tutto l’appoggio necessario. Difficilmente
veniva lasciata sola durante i primi tempi della maternità e
poteva contare sul sostegno delle mamme/nonne, durante i primi anni di
vita del bambino.
Oggi, la società è mutata. Le vite sono
parcellizzate e gli affetti sono lontani. Le donne sono spesso
costrette a lavorare, sviluppando ruoli ed attitudini prevalentemente
maschili, sono sempre più oberate dalle mille cose da fare,
non hanno più il tempo per assecondare
quell’espetto prettamente femminile che è il
parlare, il confrontarsi, lo sfogarsi,il sostenersi vicendevolmente. Di
fatto vengono a mancare i supporti sociali delle altre donne, il
malessere non ha più interlocutori e cresce lo stress.
Tra l’altro, spesso accade che le mamme siano restie ad
affidare il proprio piccolo ad altri e nei momenti di crisi sentano di
dover combattere da sole. Chiedere aiuto significa dichiarare il
proprio fallimento e la propria impotenza.
Si tratta spesso di
madri
che pur accudendo il bambino sul piano
materiale,
sono turbate a livello emotivo
per
i motivi più
disparati, così, invece di fornire un “base
sicura” alla richiesta di cura e amore da parte del bambino,
diventano fonte di paura, o perché esse stesse
“impaurite” o addirittura perché
apertamente maltrattanti.
I bambini per sviluppare un attaccamento sicuro, che si
rifletterà poi nella loro vita di adulti, con un
attaccamento sano verso il partner, hanno bisogno di
sensibilità e rispondenza. Ovvero di una figura accudente in
grando di rispondere ai bisogni, quando richiesto e con adeguatezza.
Questo
implica non solo accudimento materiale,
ma soprattutto emotivo.
Genitorialità consapevole
Instabilità emotiva, motivi talvolta futili, il pianto
esasperato del bambino o la mancanza di sostegno dal proprio compagno,
possono scatenare una collera esasperata e un attacco violento contro
il bambino.
A far scattare i maltrattamenti sono spesso i banali comportamenti del
bambino, cui i genitori attribuiscono una valenza negativa (da
“Le violenze sul bambino” di S.Kempe e C.H. Kempe
1973). Ogni capriccio può essere considerato come un totale
rifiuto nei propri confronti, si pretende obbedienza ed anche i
tentativi di autonomia del bambino scatenano la spiacevole sensazione
di non avere più il controllo della situazione, generando
risentimento e rabbia.
A queste “situazioni” possono sommarsi gli
atteggiamenti deI genitore non abusante, che sembra non accorgersi
delle difficoltà della compagna e fa poco o niente per
proteggere il figlio, accrescendo così la sensazione di
“non protezione” e di paura del bambino.
In questo contesto, il termine maltrattante, non è riferito
solo alle violenze fisiche, ma anche a quelle più subdole e
profonde, della più semplice quotidianità del
rapporto madre – figlio, quelle psicologiche.
Quella molestia dettata dai continui rimproveri, dai biasimi, dal
ripudio di una madre troppo esigente, ipercritica, dura, inflessibile,
una madre che non ha mai una parole dolce per il suo bambino, che non
gli mostra fiducia, che non lo lascia libero di sbagliare. Quella
persecuzione psicologica per la quale le aspettative negative verso il
proprio figlio, divengono “la profezia che si
autoverifica”.
“Essere genitori” è un impegno, una
responsabilità ed il minimo che si possa fare per
sè stessi e per un essere tanto fragile, come un bambino,
è rispettare quella vita donata, consapevoli delle
conseguenze che le proprie azioni, oggi, avranno sul loro equilibrio di
domani.
"Se il tuo amore è ancora oggi per me fondamentale, non
potrò mai amare nessuno in modo equilibrato…"
Se il bambino non riesce a farsi
un’idea stabile di come
funziona la figura accudente,
il suo “attaccamento”
sarà di tipo insicuro o evitante o disorganizzato
(teoria
dell'attaccamento di Bowbly), sempre altalenante tra il
“bisogno” di cura e amore e la sensazione di
“paura e rifiuto”.
Qui, si fa particolare riferimeto alla figura materna, quale fonte
primaria di accudimento, ma è ovvio che quanto trattato si
riferisce anche alle altre figure del nucleo familiare, non ultimo
ovviamente il padre. La violenza all’interno di esso,
comunque sia agita, altera profondamente la fiducia ed i rapporti
affettivi del futuro adulto.
I bambini traumatizzati, sviluppano una maggiore reattività
e mostrano livelli maggiori di disagio, di rabbia, di
aggressività e di attivazione. La vulnerabilità
è più elevata, il bambino è in uno
stato di allerta continuo e distorce le informazioni emotive in senso
negativo sovrastimando la rabbia.
Oltre alla collera e alla rabbia, l’universo emotivo dei
bambini maltrattati è contraddistinto da colpa e vergogna,
che nascono dalla percezione del fallimento di standard posti
dall’esterno e/o interiorizzati.
Siamo in presenza di bambini che
hanno una bassissima tolleranza alla
frustrazione
ed una altissima sensibilità agli attacchi,
con
la tendenza a reagire in modo impulsivo e rabbioso.
Gli psicologi cognitivisti, gli psicologi dell’attaccamento,
gli studiosi di neuroscienze e diversi psicoanalisti, convergono
nell’idea che questa sia la radice della formazione dei
disturbi borderline di
personalità, nonchè di quelli narcisistici e di
quelli antisociali, in cui la sintomatologia
infantile, permane anche nell’età adulta.
L’infanzia brutalizzata o emozionalmente deprivata porta ad
avere dei modelli di vita disordinati e di conseguenza la vita sociale
ed economica ne subiscono gli svantaggi.
Il bambino dall’infanzia violata, diventa un adulto
disadattato, che difficilmente si accorge del suo male, ma intossica la
vita di tutti coloro che lo amano. Per un bordeline è
difficile capire e accettare. Solo accettando il proprio passato,
rileggendo le proprie esperienze con razionalità e distacco
e talvolta, come dice Miller (1990), ammettendo a se stessi il dolore
di essere stati rifiutati e/o maltrattati, e soprattutto comprendendo
che “il passato è passato”, si
può fare un salto importante nell’elaborazione
delle esperienze di violenza e crearsi un futuro migliore.
La possibilità di prevenire le malattie mentali e i disturbi
del comportamento dei bambini e quindi degli adulti di domani, sta
tutta nella capacità dei genitori e nel rispetto che essi
sanno avere dei loro bambini…
Dammi fiducia, incoraggiami e saprò ripagarti
I bambini non sanno ciò che è bene e
ciò che è male, sono gli adulti ad insegnarglielo.
Ma se gli adulti sono a loro volta poco più di bambini e
nemmeno loro sanno cos'è giusto e cosa è
sbagliato, i bambini non lo sapranno mai e cresceranno allo sbaraglio
più completo.
Essi crescono ed apprendono con i “no”, con le
sfide alla coerenza genitoriale, con le punizioni, ma abbisognano anche
di incoraggiamenti. I bambini hanno bisogno di fiducia, di sapere che
pur sbagliando saranno ancora amati, hanno bisogno di sentire che sono
amati.
Guardiamoli negli occhi, per rafforzare il nostro legame e farli
sentire importanti.
Non nascondiamoci dai nostri figli quando siamo tristi o piangiamo. Le
sofferenze fanno parte della vita ed i bimbi devono apprenderlo e
devono imparare che è giusto lasciarsi andare alle proprie
emozioni.
Parliamo, parliamo, parliamo. Parliamo con loro, in modo più
semplice di come si farebbe come un adulto, ma comunque come una
persona. Parliamo con loro quando ci sono dei problemi, dei dolori o
dei lutti. I bambini non sono idioti e capiscono molto di
più di quello che si pensa, ma se non li sosteniamo,
potrebbero autoincolparsi di situazioni spiacevoli. Possedere il
linguaggio non significa soltanto essere capaci di dire le parole.
Incoraggiamo il loro sviluppo. Un bambino cresce intellettivamente e
impara a riconoscere il mondo facendo nuove esperienze, esplorando.
Incoraggiamo il loro desiderio di conoscere, non frustriamo questo suo
bisogno con rimproveri ed urla.
Lodiamoli, ogni volta che possiamo. Impariamo a notare, incoraggiare e
lodare tutte le cose positive che fa, piuttosto che rimproverarlo per
quelle che non fa o fa male. Gli sarà più facile
capire e sentirsi amato. Riconosciamo le sue conquiste.
Facciamo sentire ai nostri figli che li amiamo. Una cosa è
amare, un’altra è “far sentire il
proprio amore” coi fatti, con la presenza personale, con
l’esempio, dando fiducia, lasciando libertà senza
metterli in pericolo, comunicando con loro, trasmettendo i buoni
valori, esprimendo le nostre emozioni, incoraggiandoli e comprendendoli
quando sbagliano.
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