ELENCO DEI POST

INTERVISTE, ANGELA FLAMMINI COS'E' LA MENOPAUSA E LE 3 CONSEGUENZE SUL CERVELLO LA GELOSIA CHE UCCIDE MATERNITA' SURROGATA PRO E CONTRO PROFILO DI CHI FA VIOLENZA PSICOLOGICA RISCHI DELL'INSEGNAMENTO DEL GENDER CAUSE REALI DELLA VIOLENZA SULLE DONNE L' AMORE NON BASTA! SMETTILA DI RENDERLO INFELICE! -IL REGALO CHE FA LA DIFFERENZA -MANIPOLAZIONE SESSUALE -IO PROPRIO NON TI CAPISCO VOLERE NON E' POTERE  -QUANDO SI ARRIVA AL LITIGIO, E' TROPPO TA

CAMBIARE ABITUDINI PER CAMBIARE VITA, CON PICCOLE ABITUDINI

Tutti noi vorremmo cambiare abitudini per cambiare vita per cambiare vita, eppure eccoci lì, con tutti i buoni propositi all'inizio del nuovo anno: “Adesso basta! Quest'anno si cambia, volere è potere, repetita iuvant!”. Ma a quanto pare volere non è potere e sono sicuramente molte di più le volte che non ci siamo riusciti, piuttosto che quelle che hanno avuto successo. Forse tra quest'ultime, quelle dotate di una grandissima forza di volontà e quelle in cui abbiamo avuto un allenatore a pungolarci ogni giorno, con piccole abitudini, affinchè ciò che ci sembrava impossibile diventasse reale. Quali sono le tecniche di apprendimento efficace delle abitudini e le fake che ci fanno invece solo perdere energia?

vecchia vita, nuova vita




LE PERSONE CAMBIANO?

Quando pensiamo o diciamo che “le persone non cambiano”, stiamo condizionando ciò che attraiamo a noi.

Quando diciamo "io sono così, se ti sta bene, ok, altrimenti, ciao!", non solo ci stiamo raccontando una grande menzogna, ma ci autosabotiamo, impedendoci ciò che è assolutamente naturale e normale: il cambiamento.

L’energia, la materia, il mondo circostante, le nostre cellule, il nostro corpo, i nostri pensieri, il nostro umore, la nostre energie, le nostre azioni e interazioni, cambiano continuamente, più volte nella vita ed anche in uno stesso giorno.

Il cambiamento è una costante,

come ci ricorda, in un noto aforisma, il filosofo greco del 500 a.C. Eraclito.

Cercare di non cambiare è innaturale,

è una forzatura

con cui tentiamo di aggrapparci a ciò che conosciamo e ci da apparente sicurezza.



CAMBIARE ABITUDINI PER CAMBIARE VITA

Il cambiamento è il costituente fondamentale della capacità di adattamento all’ambiente, ovvero della resilienza e quindi della capacità di evoluzione.


La capacità di adattamento è la facoltà degli organismi viventi di cambiare, in funzione delle condizioni ambientali in cui vivono. L'adattamento può riguardare l'efficienza nel procurarsi o utilizzare risorse ambientali fondamentali per la sopravvivenza, o sopportare determinate condizioni fisiche difficili o la capacità di difendersi da un predatore o dal dolore.

Ciò che fa la differenza in una situazione di adattamento è proprio la capacità di cambiare ciò che è diventato disfunzionale o di cambiare in ciò che è più funzionale, rispetto a qualcos'altro.

“Non è la specie più forte che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più ricettiva ai cambiamenti”, affermava Charles Darwin.

Cambiare abitudini per cambiare vita, significa evolversi.

Non voler cambiare significa non volersi evolvere.

In sintesi, che si voglia cambiare oppure no, il cambiamento è naturale ed avviene comunque. Ciò che dunque fa la differenza è solo il blocco cosciente che poniamo in essere contro il cambiamento. Quanto più il cambiamento è radicale e/o coinvolge la sfera affettiva, tanto più creerà un blocco. Maggiore è il blocco, maggiore lo sforzo richiesto e maggiore è il rischio di mandare in tilt il sistema, come accadde per il primo velivolo a motore a tentare un volo, quello di Langley, che aveva riposto tutte le sue aspettative nella potenza del motore, perdendo di vista il tutto... Come tutti sappiamo, il primo aereo a volare fu invece quello dei fratelli Wright, che non trascurarono la visione d'insieme, usarono un motore meno potente ed avevano alle spalle molta pratica. I piccoli passi, l'introduzione di novità e la pratica, ovvero le ripetizioni, non sono forse gli ingredienti che caratterizzano ogni apprendimento? Allora perchè volor cambiare radicalmente, improvvisamente ed in poco tempo. E' implausibile!

Pertanto, 

per cambiare, ciò che bisogna fare è smettere di voler cambiare

ed invece accettare, introducendo, mano a mano, piccole abitudini nuove, che amplino le possibilità di scelta...



COME SI ACQUISISCONO LE ABITUDINI

Sapersi adattare è la chiave di successo in ogni campo della vita…

Adattarsi, agire in modo adatto, eventualmente cambiare, tuttavia, è dispendioso energeticamente. Comporta la necessità di essere vigili e attenti, presuppone lo sforzo di prendere decisioni, implica la fatica di fare cose nuove e causa iniziali rallentamenti ed errori.

Per questo, l'essere vivente ha sviluppato un’importante forma di “economia mentale”, le abitudini; che permetteno la ripetizione di determinati comportamenti in automatico, senza coscienza e con uno sforzo minimo.

Le abitudini consentono, nei contesti noti o familiari, di evitare il carico cognitivo richiesto dalle azioni non abitudinarie, permettendo così la liberazione di risorse energetiche utili ad altri processi mentali e comportamentali (Balleine, 1992)


Affinché l'essere umano sia favorito nello sviluppare delle routine atte a conservare energie, che possono essere impiegate per altri compiti, il cervello si è adattato con la produzione di un neurotrasmettitore in grado di dare una sensazione piacevole, euforizzante, eccitante, motivante, quando si prospetta la realizzazione di una azione, ovvero il raggiungimento di un obiettivo gratificante. Questo neurotrasmettitore è la dopamina, chiamato anche l'ormone della motivazione, ma spesso erroneamente confuso con la sensazione di piacere, comunemente associata alla produzione della stessa.

La scarica di questo ormone, invece, come vedremo meglio di seguito, avviene in prospettiva della possibile ricompensa, ovvero del desiderio, ed è questo che migliora l'apprendimento e i processi decisionali.



DOPAMINA = DESIDERIO INCONSCIO

Naturalmente ogni esperienza inerente le funzioni vitali è legate alla sopravvivenza e crea gratificazione, ovvero una ricompensa motivazionale, che si può realizzare in due modalità:

  • la prima è quella dell'evitamento del dolore: fame, sete, congelamento, ustioni, solitudine, attacco da predatori, ferite, morte;

  • la seconda è quella del raggiungimento del piacere: sfamarsi, dissetarsi, mantenere una giusta temperatura corporea, dormire, avere relazioni, comportamenti sessuali.

Il processo di appagamento avviene attraverso il rilascio di differenti neurotrasmettitori, che suscitano diverse sensazioni fisiche ed emotive. Per esempio, riuscire a sfuggire da un predatore, permette il rilascio di endorfine (movimento) e di gaba che favorisce il rilassamento; il procacciarsi cibo può favorire la produzione di testosterone, ormone del benessere maschile e di serotonina o gaba dal cibo stesso, senza considerare l'effetto positivo delle sostanze nutritive sul benessere cellulare; l'attività sessuale permette il rilascio di endorfine (movimento), serotonina ed ossitocina (orgasmo). Tutte permettono di produrre dopamina, che da euforia, per il raggiungimento dell'obiettivo e ci motiva ad agire di nuovo, nello stesso modo.


La dopamina ha il ruolo di captare la futura sensazione gratificante, individuando i segnali ambientali o interni che la predicono e dandoci la motivazione ad agire per ottenerla.

E' questo che determina il desiderio quando si percepisce qualcosa (una persona, un oggetto, un luogo, un sapore, un odore, un suono...) che è stato associato alla gratificazione.

Il desiderio è la strategia usata dal cervello per farci agire.


La dopamina rinforza tutti i comportamenti atti ad una gratificazione immediata, come quelli legati alla sopravvivenza, ma anche tutti quelli che ci forniscono un piacere/vantaggio secondario, correlato a uno vitale (es vittimismo, il narcisimo, abuso di sostanze, dipendenze, bisogno di controllo, rigidità....). Per esempio, controllare ripetutamente il telefonino, al fine di trovare riscontri sociali, come sms e “like”, ci da la sensazione erronea di essere amati/accettati e quindi di maggiori possibilità di sopravvivenza. Oppure essere perfezionisti ci fa sentire più accettati dalla società, con lo stesso risvolto precedente del non isolamento sociale. Oppure fare uso di sostanze ci permette la fuga dal dolore. Oppure fare la vittima ci fa attrarre attenzione e nutrimento affettivo.


La dopamina dunque favorisce l'associazione tra un segnale (trigger/grilletto), la gratificazione ad asso associata e l'azione atta a ottenerla.

Il neurotrasmettitore della motivazione è dunque “esperienza dipendente”, dipende cioè dall'esperienza/azione atta alla gratificazione. Non è il piacere che fa produrre dopamina, ma l'aspettativa di provarne.

L'azione non è fonte di piacere dunque, ma il mezzo per mantenere il controllo sul proprio stato emotivo.

La dopamina non è il “mi piace”, ma “lo voglio e lo faccio”!


IL CICLO DI UNA ABITUDINE

La funzione del sistema dopaminergico è quello di facilitare l'inizio delle risposte motorie agli stimoli ambientali.

Quando una nuova azione viene eseguita, si crea un’associazione mentale tra ciò che l'ha stimolata (trigger) e ciò che ne consegue (ricompensa). La ripetizione di questa azione rafforza questa associazione e fa si che possa diventare una abitudine (Lally, Wardle e Gardner, 2011), rendendo, di conseguenza, le azioni alternative meno accessibili al ripresentarsi della stessa situazione.

I ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) (Mandar, Yasuo, Christopher, Viveka e Ann 1999), hanno analizzato l' Habit hoop, o ciclo dell’abitudine, identificando tre principali componenti:

– il segnale, che attiva il “pilota automatico” (il luogo in cui ci troviamo, l’ora del giorno, il nostro stato emotivo, le persone con cui siamo, le azioni precedenti appena compiute);

– la routine, ovvero l'azione ripetitiva susseguente al segnale, che può essere fisica (azioni), mentale (pensieri) o emotiva (risposta emozionale);

-la gratificazione, la reazione biochimica che consegue al comportamento e che lo rinforza. Una gratificazione può dare piacere, oppure evitare una sensazione sgradevole, queste ultime si sono rivelate molto rinforzanti, addirittura superiori a quelle che danno piacere. Non dimentichiamoci infatti, che il primo istinto vitale alla sopravvivenza è quello di evitare il dolore, in qualsiasi forma, da quello fisico a quello emotivo. Solo evitato il dolore, ovvero il rischio per la propria sopravvivenza, si cerca il piacere.



VOLERE E' POTERE?

Quante volte ci siamo ripetuti o abbiamo voluto convincerci che volere è potere. Vediamo insieme se il cervello è strutturato in tal senso.



IL BISOGNO DI NOVITA'

Come è noto a tutti, appena portiamo alla bocca un un cibo particolarmente gustoso, o la prima volta che lo facciamo, proviamo una grande sensazione di piacere (liking), che si accompagna al desiderio di ripetere l'azione (wanting dopaminergico). Tuttavia, più ne mangiamo, meno ne saremo appagati e meno saremo motivati a procacciarcelo, questo perché via via si ridurrà la produzione di dopamina. Questo è il fenomeno dell'assuefazione (Koob & Bloom, 1988)

Occorrono quantità sempre maggiori di “sostanza” per ottenere l’effetto desiderato (si pensi alle droghe), oppure occorrono novità. E' molto interessante al fine di questa trattazione, ovvero dello scopo di apprendere le abitudini giuste, che i neuroni dopaminergici si attivino maggiormente in informazioni incerte che “smentiscono” quelle apprese rispetto informazioni che “confermano” quanto già appreso (Knutson et al., 2005).



CONOSCENZA E LIBERTA' DI SCELTA

Come abbiamo visto, l'evoluzione dipende dalla capacità di adattamento, in funzione delle informazioni esterne, che un individuo riceve dall'ambiente, e delle informazioni propriocettive, che esso riceve dal proprio corpo.

In tale processo ha un ruolo rilevante la capacità di percepire, più informazioni possibili sia dal mondo circostante, che l'ambiente interno, individuando le soluzioni più adatte alla sopravvivenza, ovvero al benessere.


Psicologicamente, possiamo capirlo, immaginando la sensazione che si percepirebbe in caso di:

  • conoscenza di una sola soluzione

  • conoscenza di una due soluzioni

  • conoscenza di tre o più soluzioni.

Nel primo caso ci sentiremmo in trappola.

Nel secondo ci sentiremmo in un dilemma.

Da tre soluzioni in poi, avremmo la sensazione di libertà di scelta.

Ne viene da sé che maggiori sono le opzioni possibili, maggiore è la possibilità di scelta e maggiore è la probabilità di optare per la soluzione evolutivamente migliore.


In tale ottica dunque, in particolare con riferimento all'essere umano, si evince che la qualità e quantità di informazioni in proprio possesso può essere una discriminante importante per il successo evolutivo, ammenochè l'individuo non abbia difficoltà di scelta.

A suffragare questa elucubrazione sono gli studi e le ricerche, come quelle relative al “Rapporto sullo Stato delle Equità di Salute” (Health Equity Status Report, HESR), dell’Ufficio Regionale OMS per l’Europa, del 2016, che dimostra quanto l'aspettativa di vita aumenti con l'aumentare del livello di istruzione. Dunque, il livello di istruzione/informazione, abbassa la mortalità ed evolve la specie. Perché accadrebbe questo? Semplicemente perché al maggior livello di istruzione corrisponde una maggiore quantità di informazioni e quindi una maggiore probabilità di effettuare le scelte più giuste, per la propria sopravvivenza.


Come ho già avuto modo di dire, infatti, il rischio, la fallace decision-making e la difficoltà di scelta, sono direttamente correlate alla impulsività, alla quantità di testosterone ed al bisogno/mania di controllo, che alterano il giudizio. La capacità di prendere decisioni, invece, dipende molto dalla capacità di percepire informazioni, comprese quelle emotive, che beneficiano dell'autocontrollo (dell'impulsività). Questa capacità è più fallace nel narcisismo patologico e nelle personalità dipendenti che sono più egoriferite, ovvero ritagliate fuori da una buona parte di informazioni utili, soprattutto quelle di tipo emotivo/empatico.


Gli organismi “vincenti” sono dunque in grado di acquisire informazioni, prendere decisioni, cambiare e sviluppare funzioni adatte alla sopravvivenza



FACCIO SOLO QUELLO CHE MI RICOMPENSA!

Facendo un piccolo sunto, l'evoluzione viene data dal cambiamento e dalla capacità di adeguare l'organismo all'ambiente, mettendo in atto strategie comportamentali utili alla sopravvivenza.

Per adattare l'organismo all'ambiente, c'è bisogno di saper percepire informazioni, sia dall'ambiente, che dal proprio corpo.

Per adottare il comportamento vincente, ovvero cambiare abitudine per cambiare vita, bisogna saper scegliere in primis, poi agire ed infine è necessario che l'azione svolta abbia successo evolutivo (evitamento del dolore o piacere).

E' utile energeticamente che una azione ricompensatoria ripetuta diventi una abitudine, liberando così risorse per altri compiti.

Quindi, abbiamo bisogno sia di un sistema in grado di farci agire consapevolmente, sia di un sistema che automatizzi ciò che diventa funzionale.

Per questo motivo, la corteccia cerebrale si è organizzata in due grandi sistemi: uno è il sistema dorsale, più recente evolutivamente e quindi più esterno (dorso), l’altro è il sistema ventrale, più profondo ed arcaico.


In una fase iniziale, quando apprendere richiede intenzione e coscienza, si fa ricorso alla parte del cervello più recente ed in grado di gestire gli impulsi e programmare le azioni, la regione dorsale. Essa include la corteccia parietale (la parte esterna, posteriore) e frontale (la parte esterna anteriore) e le attività mentali come la coscienza, l’autocontrollo e la possibilità di osservare se stessi. E' ovviamente lenta, perché richiede attenzione, controllo delle funzioni corticali e la repressione delle appetizioni compulsive, agisce in sequenza (un compito alla volta), ma è molto flessibile. Essa rappresenta il controller ossia il software per la cognizione e la pianificazione delle azioni.

Da notare che dell'area dorsale fa parte il giro del cingolo anteriore(acg), che è di maggior dimensioni nelle donne e ciò le induce ad essere più ponderate e più caute nelle decisioni, abilità certamente utile ad una potenziale madre.


Quando l'abilità diventa automatica e veloce, si produce nel sistema ventrale, più interno, il sistema limbico, che non richiede il ricorso alla coscienza, è coinvolto nel sistema di ricompensa del cervello e presiede agli impulsi, alle emozioni ed alla memoria a lungo termine. Questa parte del cervello funziona in modo rapido, parallelo (più cose insieme, come nella guida di una macchina), ripetitivo e rigido. Questa è la parte della corteccia che potremmo definire il drive, l'hard disk cerebrale, in cui vengono registrate tutte le associazioni tra stimoli, azioni e ricompense e si cristallizzano le abitudini.



VOLERE NON E' POTERE


Una abitudine può essere descritta come un cambiamento a lungo termine in cui risulta la dominanza funzionale ed impulsiva del sistema mesolimbico ventrale, rispetto alla corteccia prefrontale cosciente.

Nell'abitudine il controllo corticale superiore e le intenzioni coscienti hanno poca influenza su una possibile azione. Così, laddove la volontà sia in conflitto con un’abitudine, è più probabile che si attui quest’ultima (Gardner, De Bruijn e Lally, 2011).

In altri termini, anche se ci ripetiamo all'infinito che “volere è potere”, in realtà, volere non è potere.

La dimostrazione che volere non è potere, in realtà la constatiamo continuamente di fronte a certe dipendenze che abbiamo. Per es. pur sapendo quanto possano farci male alcune sostanze o azioni o convinzioni, tendiamo a ripeterle in continuazione (coazione a ripetere). Anzi, paradossalmente, tenderemo a ripetere con maggior frequenza uno schema dannoso e/o rinnovare una ferita profonda, piuttosto che cambiare abitudine e cambiare vita, proprio perché quello schema lo conosciamo ed è stato così rinforzato in anni e anni di stimolo, azione e ricompensa, sia diretta, che secondaria, che le connessioni sinaptiche sono così spesse da risultare rigidissime e tutt'altro che plastiche e modificabili.


REPETITA iuvant?

Affermare che il cervello è plastico significa che è possibile cambiarlo e neurologicamente, significa modificare le sinapsi (dal greco synapsis, connessioni), che collegano i neuroni, producendo risposte automatiche e spontanee.


Dalla lettura del paragrafo precedente, abbiamo inferito che le ricerche neuroscientifiche identificano due processi neurochimici fondamentali nella plasticità cerebrale, ovvero per cambiare e creare abitudini:

1. un IMPEGNO cosciente e ripetuto, attraverso la corteccia dorsale;

2. la produzione di DOPAMINA, che associa tale azione ad una gratificazione, motivandone la ripetizione, attraverso l'area mesolimbica ventrale.

Dunque repetita iuvant, ma non è sufficiente la ripetizione volontaria di un comportamento, perché si crei una abitudine, serve la produzione dopaminergica (data dalle novità) e la gratificazione.

E di questo tutti ne abbiamo la prova. Quante volte abbiamo ripetuto delle azioni, senza ottenere un cambiamento?


La corteccia prefrontale, nell'area dorsale è responsabile del processo di acquisizione di informazioni ed è quella che prende decisioni. Questo processo è volontario: se non siamo coscienti, ovvero nel qui ed ora, concentrati sui nostri compiti, il nostro sistema interiore, limbico, prenderà il sopravvento.

E' per questo che nelle fasi iniziali di un rapporto, quando siamo molto attenti, tutto procede per il meglio. Nel momento in cui la routine prende il sopravvento, che si perde il controllo razionale dorsale e si reinnescano schemi e comportamenti disfunzionali.


Perché un circuito corticale si possa riorganizzare e modificare è necessario che si attivi, oltre alla parte dorsale intenzionale, anche l’area tegmentale ventrale producendo dopamina e desiderio.

Ma quando si attiva l’area tegmentale ventrale del nostro cervello?

Quando si vive un’esperienza sorprendente o nuova e quando si vive una esperienza utile evolutivamente, cioè in grado di ridurre il dolore o di dare piacere.

Se non abbiamo desiderio e motivazione verso una determinata azione o non si prevediamo la futura gratificazione diventa quasi impossibile che il cervello possa evolversi.




TECNICHE DI APPRENDIMENTO EFFICACE

“Tra il dire ed il fare c'è di mezzo il mare”, recita un detto celebre.

Partendo dalle condizioni di base atte allo sviluppo delle abitudini, ovvero alle problematiche che possono ostacolare il passaggio tra il dire ed il fare (informazioni, volontà, dopamina, novità, tempo)  possiamo stilare un piano di azione efficace al fine di acquisire sane abitudini.

Partiamo proprio da questo, dalle abitudini sane e giuste.

Cerchiamo di sviluppare un piano di azione che porti al vantaggio evolutivo ed al benessere dopaminergico, partendo dalla fonte delle informazioni, per passare attraverso tecniche di apprendimento efficace nel garantire il tempo necessario di ripetizione, ma anche il numero sufficiente di novità stimolanti e la costante gratificazione.



QUALI SONO LE ABITUDINI GIUSTE?

Come facciamo a sapere se le abitudini sono giuste oppure no, mica siamo onniscenti? Come facciamo a sapere se una abitudine che potremmo acquisire sia davvero sana e vantaggiosa?

In giro, oramai, ci sono tantissime fake news ed altrettanti guru in grado di dispensarci soluzioni a portata di click, spesso dopo qualche corso fatto da qualche parte a seguito di qualche problema, talvolta con discipline obsolete, antiche, appartenenti a realtà opposte alla nostra o senza alcun fondamento scientifico, o senza conoscenza del corpo e della psiche umana, nella sua complessità.

Come abbiamo visto, sapere è alla base della possibilità di scegliere e lo è anche della motivazione ad agire. Sapere che qualcosa mi porta ad un vantaggio, mi preannuncia una ricompensa evolutiva, mi fa favorire la produzione di dopamina e mi da la motivazione ad agire.

Senza questo desiderio, l'abitudine non si consolida.

Affidarci ad un ESPERTO di settore, sicuramente può aiutarci in questo processo. Ma abbiamo visto che, la parte dorsale del cervello, quella decisionista, quando c'è una abitudine o una dipendenza, è più debole ed ha maggiori difficoltà a precedere con un cambiamento.

Allora, capita che seppur in possesso di informazioni esperte e di buona volontà a cessare una abitudine malsana o una dipendenza, non ce la facciamo. Lo vogliamo, ma non riusciamo. Lo vogliamo con la mente, con la regione dorsale, ma il cervello più arcaico ed inconscio, non lo vuole affatto e tutte le chiacchiere di questo mondo non riusciranno a convincerlo a meno di un profondo lavoro introspettivo, spesso lungo, pesante ed inefficace. Sarebbe come voler girare la direzione dell'iceberg, con una azione decisa nella parte immersa. Troppo faticoso.

Potrebbe invece essere molto più efficace farlo con tanti micro cambiamenti e l'acquisizione di piccole abitudini.

Cambiare improvvisamente direzione può essere difficile, dispendioso e inefficace. Convincerci a farlo, altrettanto. Ma iniziare, giorno dopo giorno, a fare anche un solo piccolo passo in un'altra direzione, agevola il passaggio a nuove piccole abitudini, soprattutto se ad ogni passo riceviamo una ricompensa.

In fondo, ogni cosa che abbiamo imparato l'abbiamo acquisita in questo modo: attento, lento e seriale. Una cosa alla volta.

Ciò che è importante e fondamentale è che ci sia un vantaggio/ricompensa e che ogni azione sia nuova e venga programmata una adeguata variazione di stimoli gratificanti, in modo da favorire la produzione di dopamina,ormone del desiderio e della abitudine.



Definiti dei vantaggi effettivi, adeguate novità ed un allenamento a piccoli passi per ottenere piccole abitudini, si può cambiare una vecchia abitudine con una nuova, ovvero cambiare abitudini per cambiare vita. Ne viene da sé, che una nuova abitudine è più facile da consolidarsi, se facilitata da un piano di allenamento dettagliato ed esperto.



L'UTILITA' DI UN PIANO DI AZIONE EFFICACE

La difficoltà di passaggio tra il dire ed il fare, che tante volte abbiamo sperimentato nella vita (e ora sappiamo anche perché) è stata comprovata da due ricercatori (Weeb e Sheeran 2006).

Tra tutti i fattori che possono influenzare questo passaggio c'è la capacità di produrre piani di azione.

Recenti studi (Orbell & Verplanken, 2010) hanno dimostrato che le tecniche di apprendimento efficace hanno una programmazione dettagliata delle associazioni tra segnali, azioni e gratificazioni, con la forma “se c’è la situazione A, avvierò il comportamento B, per raggiungere la gratificazione C” al fine di consolidare una abitudine nel tempo.


Se consideriamo che la produzione di dopamina, essenziale nella costituzione della abitudine, si attiva maggiormente con le novità e si disinnesca con l'assuefazione, diventa rilevante, all'interno del piano di azione, l'inserimento di novità e sorprese.


Se prevediamo un piano d'azione dettagliato, vario e pieno di novità, che ad ogni specifico segnale ambientale faccia seguire una azione e poi una gratificazione, sarà più facile “lasciare la strada vecchia per quella nuova”.




IL FALSO MITO DEI 21 GIORNI

Abbiamo visto che ripetere non è sufficiente per acquisire una abitudine, ci vuole desiderio inconscio, ovvero prospettiva di ricompensa. Ma quante volte bisogna ripetere una azione premonitrice di gratificazione, affinché diventi una abitudine?


Molti risponderanno “almeno, 21 giorni”.

Beh sbagliato!

Non so per quale motivo si sia consolidata (forse il desiderio che forse vera), ma questa falsa credenza deriva dagli esperimenti forse poco attendibili di un chirurgo estetico degli anni 60, Maxwell Maltz...


Ben più recentemente, nel 2010, sul European Journal of Social Psychology è stata pubblicata una ricerca scientifica di Lally, van Jaarsveld, Potts e Wardle, che hanno studiato 96 soggetti intenzionati a sviluppare le abitudini nuove, dalle più semplici, alle più impegnative.


ATTENZIONE! Il risultato stato che i soggetti hanno impiegato in media 66 giorni per costruire la nuova abitudine e il tempo necessario variava in base alla difficoltà del “compito”.

Una abitudine semplice “come bere un bicchiere d’acqua, prima di colazione”, diventa una abitudine dopo 18 giorni.

Una abitudine più impegnativa come “fare addominali, prima di colazione”, diventa una abitudine dopo 50 giorni.

Purtroppo, alcuni sotto gruppi hanno impiegato molto di più degli altri, lasciando ipotizzare l’esistenza di personalità più “resistenti” all'apprendimento.

I giorni, ovvero le ripetizioni, erano di media  66.

I ricercatori hanno inoltre rilevato che, omettere saltuariamente il comportamento non compromette l’intero processo.


Alla luce di questi risultati, come noi stessi più volte abbiamo provato, è ovvio che sia più facile memorizzare poche informazioni e acquisire piccole abitudini, piuttosto che il contrario.

Di conseguenza, risulta ovvio che la frammentazione in piccole azioni, più semplici, è inevitabilmente più efficace, nell'acquisizione di piccole abitudini più sane.


Questi dati sono, a mio avviso, molto incentivanti e ci risollevano l'umore.

Non siamo così stupidi se qualche azione proprio non riusciamo a farla diventare una abitudine, forse ci è mancata la giusta dose di dopamina necessaria e/o il tempo per acquisirla e/o l'allenatore giusto.

Non possiamo imparare qualcosa di nuovo, se non ci crea un vantaggio, nemmeno se non abbiamo tempo sufficiente e tanto meno se abbiamo qualche altra abitudine avversa che pretendiamo di sostituire, senza un piano di allenamento minuzioso, graduale, facile e gratificante.




L'UTILITA' DELLA RIPETIZIONE DILAZIONATA SPAZIALE

Diversi studi hanno dimostrato che la memorizzazione a lungo termine di una informazione è più efficace con una ripetizione dilazionata, cioè l’informazione stessa viene ripetuta poche volte su tempi lunghi, anziché molte volte su tempi brevi.


Al cervello infatti piace lavorare in maniera efficiente, quindi:

  • se gli presentiamo la stessa cosa molte volte in poco tempo penserà, che non serve memorizzarla, visto che si presenta spesso;

  • se invece gli presentiamo la stessa cosa a distanza di qualche giorno penserà che è meglio memorizzarla per non dimenticarla.


Un sistema di ripetizione dilazionata, o ripetizione spaziata (in inglese Spaced Repetition System, SRS), è un sistema di memorizzazione, che sfrutta l'"effetto di spaziatura" (distribuzione temporale).

I primi studi sull'argomento sono dovuti ad Hermann Ebbinghaus (1850-1909), uno psicologo tedesco che teorizzò la "curva dell'oblio" e l'"effetto di spaziatura", nel suo saggio del 1885 "Memoria. Un contributo alla psicologia sperimentale".

Secondo Ebbinghaus, l'oblio segue un ritmo esponenziale. Le informazioni si dimenticano velocemente nelle prime ore, per decadere con più lentezza col procedere del tempo. Per comprendere il fenomeno, possiamo pensare a questo articolo, la gran parte delle informazioni sarà dimenticata in poche ore. Le informazioni restanti, saranno più stabili e ci metteranno più tempo a decadere, senza che vi sia ripetizione, ovviamente.


La ripetizione dilazionata, si basa sull'"effetto di spaziatura", ovvero sulla distribuzione temporale delle ripetizioni a intervalli temporali crescenti.

Nel 1939, H.F. Spitzer misurò l'effetto della ripetizione dilazionata su 3600 studenti, dimostrando l'efficacia del metodo. Negli anni '60, diversi psicologi esplorarono più in dettaglio gli effetti della lunghezza della dilazione di ripetizione per migliorare il ricordo.




PICCOLE ABITUDINI: IL METODO 7x52©

Buona notizia dunque, il cervello è plastico, si può riprogrammare con le abitudini più efficaci evolutivamente, ma non basta volerlo a livello mentale e nemmeno ripetere.

C'è bisogno di un continuo rinforzo tra segnale/stimolo, azione e ricompensa, ovvero di dopamina.


Per acquisire le abitudini sane, abbiamo dunque  bisogno di:

  • impegno cosciente

  • essere nel qui ed ora

  • avere informazioni esperte

  • un piano di azione variegato e particolareggiato

  • tempo adeguato di ripetizione

  • ripetizione dilazionata nel tempo

  • apprendimento frazionato a piccole dosi

  • vantaggio e gratificazione

  • associazione positiva e costante tra stimolo, azione e ricompensaproduzione di dopamina.

  • produzione di dopamina.


Tutto questo si trova in un piano di allenamento dettagliato che aumenta l'efficacia della ripetizione, ma anche la produzione di dopamina, attraverso programma minuzioso, graduale, facile e gratificante: il metodo 7x52© della dottoressa Angela Flammini, che favorisce il ciclo dell’abitudine (segnale, azione, gratificazione) in diversi modi, coinvolgendo, di volta in volta, esperti di settore. Ma può essere realizzato autonomamente facendo in modo di associare specifici stimoli, a determinate azioni e ricompense, per un periodo sufficientemente lungo, possibilmente con ripetizione dilazionata e guidata e magari non inferiore ai 2 mesi (ma almeno 6 sono meglio).


Nel metodo 7x52©, il segnale o stimolo, che attiva “l'abitudine”, non è uno solo, ma ne sono 7 principali ed ad ognuno di essi è associato una specifica tipologia di azioni, benché esse siano sempre diverse, in un arco temporale di circa 6 mesi. Inoltre, questi 7 segnali principali possono essere rafforzati dal luogo in cui ci si trova e che è solitamente lo stesso. Infatti, i compiti sono postati in foglietti all'interno di un cofanetto, che è comodo tenere nel medesimo posto, come il comodino vicino al letto o la scrivania in ufficio. Di conseguenza, altri rinforzi diventano anche le persone con ci si trova (es. partner in camera o colleghi in ufficio) e le azioni precedenti appena compiute (svegliarsi o svolgere un lavoro).


Le azioni da compiere sono frazionate, sono specificatamente diverse, ma appartengono a 7 principali abitudini, necessitano in genere di poco tempo. Infatti sono dettagliatamente suggerite, benché personalizzabili ed adattabili e per questo ancora più intrise di novità.

La loro ripetizione è dilazionata in un tempo di 365 giorni. Ogni tipo di abitudine si ripete una volta ogni 7 giorni, per 52 volte settimanali.

Tra le 7 abitudini principali, benché tutte siano volte ad ottenere il meglio ed evitare il peggio, nel contesto particolare, c'è una categoria che è specificatamente rivolta piccole abitudini ad evitare, ciò che può provocare dolore o danno.

Le azioni sono fisiche, come strappare il post it dal blocco e scriverci sopra; sono mentale, perché necessitano della formulazione di un pensiero ed emotive, poiché derivano ed inducono stati emozionali. La contingenza multifattoriale, soprattutto emotiva, favorisce ancor più l'apprendimento, ma l'ultima azione, nello specifico è in grado anche di accrescere l'intelligenza emotiva individuale, ovvero l'efficacia evolutiva e sociale, aumentando la propria consapevolezza emotiva.


La gratificazione che rinforza l'azione compiuta e motiva alla sua successiva ripetizione è varia e multipla.

Cioè, è sempre diversa, come diverse sono le azioni e gli ormoni coinvolti in esse.

Inoltre è duplice e conduce a due possibili vantaggi. Da una parte abbiamo i vantaggi interni ed egoriferiti, ovvero la reazione biochimica ed emotiva che si accompagna all'esecuzione dell'azione, come per esempio, provare gratitudine, compiacimento, apprezzamento, amore o altre emozioni positive, oppure evitare emozioni negative (specifiche di una tra le 7 abitudini principali), oppure produrre ormoni antistress o del benessere.

Dall'altra parte, abbiamo i vantaggi che derivano dall'aver compiuto certe azioni beneficiando così di rinforzi secondari, indiretti ed esterni e forniscono una profonda sensazione euforizzante, direttamente correlata al rilascio di dopamina.


Per fare un esempio, immaginiamo che voglio acquisire l'abitudine, una volta a settimana, di fare qualcosa di utile per le relazioni o l'intelligenza emotiva, come per esempio, fare un complimento al partner o a un collega o ad un amico. Il post it mi facilita il compito indicandomi il tipo di complimento più indicato da fare, ma sarò io a dovermi concentrare per specificare esattamente cosa scrivere e poi comunicare. In questo modo sono costretto ad entrare in contatto con me stesso e le mie emozioni, divento più consapevole e imparo a focalizzarmi su qualcosa di positivo, piuttosto che di negativo. Questa azione avrà già di per sé i suoi vantaggi, aumenta anche il mio umore, ma quando avrò comunicato il complimento al destinatario, è molto probabile che ne trarrò vantaggi, sia funzionali, che evolutivi.



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