Tutti noi vorremmo cambiare abitudini per
cambiare vita
per cambiare vita, eppure eccoci lì, con
tutti i buoni
propositi all'inizio del nuovo anno: “Adesso basta!
Quest'anno si
cambia, volere è potere,
repetita iuvant!”. Ma a
quanto pare volere non è
potere e sono sicuramente molte di più le volte
che non ci siamo
riusciti, piuttosto che quelle che hanno avuto successo. Forse tra
quest'ultime, quelle dotate di una grandissima forza di
volontà
e quelle in cui abbiamo avuto un allenatore a pungolarci ogni giorno,
con piccole abitudini,
affinchè ciò che ci sembrava
impossibile diventasse reale. Quali sono le tecniche
di
apprendimento efficace delle abitudini e
le fake che ci
fanno invece solo perdere energia?
LE PERSONE CAMBIANO?
Quando pensiamo o diciamo
che “le
persone non cambiano”, stiamo condizionando ciò
che attraiamo a
noi.
Quando diciamo "io sono
così, se
ti sta bene, ok, altrimenti, ciao!", non solo ci stiamo
raccontando una grande menzogna, ma ci autosabotiamo, impedendoci
ciò
che è assolutamente naturale e normale: il cambiamento.
L’energia, la
materia, il mondo
circostante, le nostre cellule, il nostro corpo, i nostri pensieri,
il nostro umore, la nostre energie, le nostre azioni e interazioni,
cambiano continuamente, più volte nella vita ed anche in uno
stesso
giorno.
Il cambiamento
è una costante,
come ci ricorda, in un noto
aforisma,
il filosofo greco del 500 a.C. Eraclito.
Cercare
di non cambiare è
innaturale,
è
una forzatura
con cui tentiamo di
aggrapparci a ciò
che conosciamo e ci da apparente sicurezza.
CAMBIARE ABITUDINI PER CAMBIARE VITA
Il cambiamento è
il costituente
fondamentale della capacità di adattamento
all’ambiente, ovvero
della resilienza e quindi della capacità di evoluzione.
La capacità di
adattamento è la
facoltà degli organismi viventi di cambiare, in funzione
delle
condizioni ambientali in cui vivono. L'adattamento può
riguardare
l'efficienza nel procurarsi o utilizzare risorse ambientali
fondamentali per la sopravvivenza, o sopportare determinate
condizioni fisiche difficili o la capacità di difendersi da
un
predatore o dal dolore.
Ciò che fa la
differenza in una
situazione di adattamento è proprio la capacità
di cambiare ciò
che è diventato disfunzionale o di cambiare in
ciò che è più
funzionale, rispetto a qualcos'altro.
“Non è
la specie più forte che
sopravvive, né la più intelligente, ma quella
più ricettiva ai
cambiamenti”, affermava Charles Darwin.
Cambiare abitudini
per cambiare
vita, significa evolversi.
Non
voler cambiare
significa non volersi evolvere.
In
sintesi, che si voglia
cambiare oppure no, il cambiamento è naturale ed avviene
comunque.
Ciò che dunque fa la differenza è solo il blocco
cosciente che
poniamo in essere contro il cambiamento. Quanto più il
cambiamento è
radicale e/o coinvolge la sfera affettiva, tanto più
creerà un
blocco. Maggiore è il blocco, maggiore lo sforzo richiesto e
maggiore è il rischio di mandare in tilt il sistema, come
accadde
per il
primo
velivolo a motore a tentare un volo, quello di Langley, che
aveva
riposto tutte le sue aspettative nella potenza del motore, perdendo
di vista il tutto... Come tutti sappiamo, il primo aereo a volare fu
invece quello dei fratelli
Wright, che non trascurarono la visione d'insieme, usarono un
motore meno potente ed avevano alle spalle molta pratica. I piccoli
passi, l'introduzione di novità e la pratica, ovvero le
ripetizioni,
non sono forse gli ingredienti
che caratterizzano ogni apprendimento? Allora perchè volor
cambiare
radicalmente, improvvisamente ed in poco tempo. E' implausibile!
Pertanto,
per
cambiare, ciò che
bisogna fare è smettere di voler cambiare
ed
invece accettare,
introducendo, mano a mano, piccole abitudini nuove,
che
amplino le possibilità di scelta...
COME
SI ACQUISISCONO
LE ABITUDINI
Sapersi adattare
è la chiave di
successo in ogni campo della vita…
Adattarsi, agire in modo
adatto,
eventualmente cambiare, tuttavia, è dispendioso
energeticamente.
Comporta la necessità di essere vigili e attenti, presuppone
lo
sforzo di prendere decisioni, implica la fatica di fare cose nuove e
causa iniziali rallentamenti ed errori.
Per questo, l'essere
vivente ha
sviluppato un’importante forma di “economia
mentale”, le
abitudini; che permetteno la ripetizione di determinati
comportamenti in automatico, senza coscienza e con uno sforzo minimo.
Le abitudini
consentono, nei
contesti noti o familiari, di evitare il carico cognitivo richiesto
dalle azioni non abitudinarie, permettendo così la
liberazione di
risorse energetiche utili ad altri processi mentali e comportamentali
(Balleine, 1992)
Affinché
l'essere umano sia favorito
nello sviluppare delle routine atte a conservare energie, che possono
essere impiegate per altri compiti, il cervello si è
adattato con la
produzione di un neurotrasmettitore in grado di dare una sensazione
piacevole, euforizzante, eccitante, motivante, quando si prospetta la
realizzazione di una azione, ovvero il raggiungimento di un obiettivo
gratificante. Questo neurotrasmettitore è la dopamina,
chiamato
anche l'ormone della motivazione, ma spesso erroneamente confuso con
la sensazione di piacere, comunemente associata alla produzione della
stessa.
La scarica di questo
ormone, invece,
come vedremo meglio di seguito, avviene in prospettiva della
possibile ricompensa, ovvero del desiderio, ed è questo che
migliora
l'apprendimento e i processi decisionali.
DOPAMINA
= DESIDERIO
INCONSCIO
Naturalmente ogni
esperienza inerente
le funzioni vitali è legate alla sopravvivenza e crea
gratificazione, ovvero una ricompensa motivazionale, che si
può
realizzare in due modalità:
-
la prima è
quella dell'evitamento del dolore: fame, sete, congelamento, ustioni,
solitudine, attacco da predatori, ferite, morte;
-
la seconda è
quella del raggiungimento del piacere: sfamarsi, dissetarsi, mantenere
una giusta temperatura corporea, dormire, avere relazioni,
comportamenti sessuali.
Il processo di appagamento
avviene
attraverso il rilascio di differenti neurotrasmettitori, che
suscitano diverse sensazioni fisiche ed emotive. Per esempio,
riuscire a sfuggire da un predatore, permette il rilascio di
endorfine (movimento) e di gaba che favorisce il rilassamento; il
procacciarsi cibo può favorire la produzione di
testosterone, ormone
del benessere maschile e di serotonina o gaba dal cibo stesso, senza
considerare l'effetto positivo delle sostanze nutritive sul benessere
cellulare; l'attività sessuale permette il rilascio di
endorfine
(movimento), serotonina ed ossitocina (orgasmo). Tutte permettono di
produrre dopamina, che da euforia, per il raggiungimento
dell'obiettivo e ci motiva ad agire di nuovo, nello stesso modo.
La
dopamina ha il ruolo di
captare la futura sensazione gratificante, individuando i segnali
ambientali o interni che la predicono e dandoci la motivazione ad
agire per ottenerla.
E' questo che determina il
desiderio
quando si percepisce qualcosa (una persona, un oggetto, un luogo, un
sapore, un odore, un suono...) che è stato associato alla
gratificazione.
Il desiderio è
la strategia usata dal
cervello per farci agire.
La dopamina rinforza tutti
i
comportamenti atti ad una gratificazione immediata, come quelli
legati alla sopravvivenza, ma anche tutti quelli che ci forniscono un
piacere/vantaggio secondario, correlato a uno vitale (es vittimismo,
il narcisimo, abuso di sostanze, dipendenze, bisogno di controllo,
rigidità....). Per esempio, controllare ripetutamente il
telefonino,
al fine di trovare riscontri sociali, come sms e
“like”, ci da la
sensazione erronea di essere amati/accettati e quindi di maggiori
possibilità di sopravvivenza. Oppure essere perfezionisti ci
fa
sentire più accettati dalla società, con lo
stesso risvolto
precedente del non isolamento sociale. Oppure fare uso di sostanze ci
permette la fuga dal dolore. Oppure fare la vittima ci fa attrarre
attenzione e nutrimento affettivo.
La dopamina dunque
favorisce
l'associazione tra un segnale (trigger/grilletto), la gratificazione
ad asso associata e l'azione atta a ottenerla.
Il neurotrasmettitore della
motivazione
è dunque “esperienza dipendente”,
dipende cioè
dall'esperienza/azione atta alla gratificazione. Non è il
piacere
che fa produrre dopamina, ma l'aspettativa di provarne.
L'azione non è
fonte di piacere
dunque, ma il mezzo per mantenere il controllo sul proprio stato
emotivo.
La dopamina non
è il “mi piace”,
ma “lo voglio e lo faccio”!
IL
CICLO DI UNA
ABITUDINE
La funzione del sistema
dopaminergico è
quello di facilitare l'inizio delle risposte motorie agli stimoli
ambientali.
Quando una nuova azione
viene eseguita,
si crea un’associazione mentale tra ciò che l'ha
stimolata
(trigger) e ciò che ne consegue (ricompensa). La ripetizione
di
questa azione rafforza questa associazione e fa si che possa
diventare una abitudine (Lally, Wardle e Gardner, 2011), rendendo, di
conseguenza, le azioni alternative meno accessibili al ripresentarsi
della stessa situazione.
I ricercatori del
Massachusetts
Institute of Technology (MIT) (Mandar, Yasuo, Christopher, Viveka e
Ann 1999), hanno analizzato l' Habit hoop, o ciclo
dell’abitudine,
identificando tre principali componenti:
– il segnale, che
attiva il “pilota
automatico” (il luogo in cui ci troviamo, l’ora del
giorno, il
nostro stato emotivo, le persone con cui siamo, le azioni precedenti
appena compiute);
– la routine,
ovvero l'azione
ripetitiva susseguente al segnale, che può essere fisica
(azioni),
mentale (pensieri) o emotiva (risposta emozionale);
-la gratificazione, la
reazione
biochimica che consegue al comportamento e che lo rinforza. Una
gratificazione può dare piacere, oppure evitare una
sensazione
sgradevole, queste ultime si sono rivelate molto rinforzanti,
addirittura superiori a quelle che danno piacere. Non dimentichiamoci
infatti, che il primo istinto vitale alla sopravvivenza è
quello di
evitare il dolore, in qualsiasi forma, da quello fisico a quello
emotivo. Solo evitato il dolore, ovvero il rischio per la propria
sopravvivenza, si cerca il piacere.
VOLERE
E' POTERE?
Quante volte ci siamo ripetuti o abbiamo voluto convincerci
che
volere è potere. Vediamo
insieme se il cervello è strutturato in tal senso.
IL BISOGNO DI NOVITA'
Come è noto a
tutti, appena portiamo
alla bocca un un cibo particolarmente gustoso, o la prima volta che
lo facciamo, proviamo una grande sensazione di piacere (liking), che
si accompagna al desiderio di ripetere l'azione (wanting
dopaminergico). Tuttavia, più ne mangiamo, meno ne saremo
appagati e
meno saremo motivati a procacciarcelo, questo perché via via
si
ridurrà la produzione di dopamina. Questo è il
fenomeno
dell'assuefazione (Koob & Bloom, 1988)
Occorrono
quantità sempre maggiori di
“sostanza” per ottenere l’effetto
desiderato (si pensi alle
droghe), oppure occorrono
novità.
E' molto interessante al fine di questa trattazione, ovvero dello
scopo di apprendere le
abitudini
giuste, che i
neuroni dopaminergici si attivino maggiormente in informazioni
incerte che “smentiscono” quelle apprese rispetto
informazioni
che “confermano” quanto già appreso
(Knutson et al., 2005).
CONOSCENZA
E
LIBERTA' DI SCELTA
Come abbiamo visto,
l'evoluzione
dipende dalla capacità di adattamento, in funzione delle
informazioni esterne, che un individuo riceve dall'ambiente, e delle
informazioni propriocettive, che esso riceve dal proprio corpo.
In tale processo ha un
ruolo rilevante
la capacità di percepire, più informazioni
possibili sia dal mondo
circostante, che l'ambiente interno, individuando le soluzioni
più
adatte alla sopravvivenza, ovvero al benessere.
Psicologicamente, possiamo
capirlo,
immaginando la sensazione che si percepirebbe in caso di:
-
conoscenza di una sola
soluzione
-
conoscenza di una due
soluzioni
-
conoscenza di tre o
più soluzioni.
Nel primo caso ci
sentiremmo in
trappola.
Nel secondo ci sentiremmo
in un
dilemma.
Da tre soluzioni in poi,
avremmo la
sensazione di libertà di scelta.
Ne viene da sé
che maggiori sono le
opzioni possibili, maggiore è la possibilità di
scelta e maggiore è
la probabilità di optare per la soluzione evolutivamente
migliore.
In tale ottica dunque, in
particolare
con riferimento all'essere umano, si evince che la qualità e
quantità di informazioni in proprio possesso può
essere una
discriminante importante per il successo evolutivo,
ammenochè
l'individuo non abbia difficoltà di scelta.
A suffragare questa
elucubrazione sono
gli studi e le ricerche, come quelle relative al “Rapporto
sullo
Stato delle Equità di Salute” (Health Equity
Status Report, HESR),
dell’Ufficio Regionale OMS per l’Europa, del 2016,
che dimostra
quanto l'aspettativa di vita aumenti con l'aumentare del livello di
istruzione. Dunque, il livello di istruzione/informazione, abbassa la
mortalità ed evolve la specie. Perché accadrebbe
questo?
Semplicemente perché al maggior livello di istruzione
corrisponde
una maggiore quantità di informazioni e quindi una maggiore
probabilità di effettuare le scelte più giuste,
per la propria
sopravvivenza.
Come ho già
avuto modo di dire,
infatti, il rischio, la fallace decision-making e la
difficoltà di
scelta, sono direttamente correlate alla impulsività, alla
quantità
di testosterone ed al bisogno/mania di controllo, che alterano il
giudizio. La capacità di prendere decisioni, invece, dipende
molto
dalla capacità di percepire informazioni, comprese quelle
emotive,
che beneficiano dell'autocontrollo (dell'impulsività).
Questa
capacità è più fallace nel narcisismo
patologico e nelle
personalità dipendenti che sono più egoriferite,
ovvero ritagliate
fuori da una buona parte di informazioni utili, soprattutto quelle di
tipo emotivo/empatico.
Gli
organismi “vincenti”
sono dunque in grado di acquisire informazioni, prendere decisioni,
cambiare e sviluppare funzioni adatte alla sopravvivenza
FACCIO
SOLO QUELLO
CHE MI RICOMPENSA!
Facendo un piccolo sunto,
l'evoluzione
viene data dal cambiamento e dalla capacità di adeguare
l'organismo
all'ambiente, mettendo in atto strategie comportamentali utili alla
sopravvivenza.
Per adattare l'organismo
all'ambiente,
c'è bisogno di saper percepire informazioni, sia
dall'ambiente, che
dal proprio corpo.
Per adottare il
comportamento vincente,
ovvero cambiare abitudine per cambiare vita,
bisogna saper
scegliere in primis, poi agire ed infine è necessario che
l'azione
svolta abbia
successo evolutivo
(evitamento del dolore o piacere).
E' utile energeticamente
che una azione
ricompensatoria ripetuta diventi una abitudine, liberando
così
risorse per altri compiti.
Quindi, abbiamo bisogno sia
di un
sistema in grado di farci agire consapevolmente, sia di un sistema
che automatizzi ciò che diventa funzionale.
Per questo motivo, la
corteccia
cerebrale si è organizzata in due grandi sistemi: uno
è il sistema
dorsale, più recente evolutivamente e quindi più
esterno (dorso),
l’altro è il sistema ventrale, più
profondo ed arcaico.
In una fase iniziale,
quando apprendere
richiede intenzione e coscienza, si fa ricorso alla parte del
cervello più recente ed in grado di gestire gli impulsi e
programmare le azioni, la regione dorsale. Essa include la corteccia
parietale (la parte esterna, posteriore) e frontale (la parte esterna
anteriore) e le attività mentali come la coscienza,
l’autocontrollo
e la possibilità di osservare se stessi. E' ovviamente
lenta, perché
richiede attenzione, controllo delle funzioni corticali e la
repressione delle appetizioni compulsive, agisce in sequenza (un
compito alla volta), ma è molto flessibile. Essa rappresenta
il
controller ossia il software per la cognizione e la pianificazione
delle azioni.
Da notare che dell'area
dorsale fa
parte il giro del cingolo anteriore(acg), che è di maggior
dimensioni nelle donne e ciò le induce ad essere
più ponderate e
più caute nelle decisioni, abilità certamente
utile ad una
potenziale madre.
Quando l'abilità
diventa automatica e
veloce, si produce nel sistema ventrale, più interno, il
sistema
limbico, che non richiede il ricorso alla coscienza, è
coinvolto nel
sistema di ricompensa del cervello e presiede agli impulsi, alle
emozioni ed alla memoria a lungo termine. Questa parte del cervello
funziona in modo rapido, parallelo (più cose insieme, come
nella
guida di una macchina), ripetitivo e rigido. Questa è la
parte della
corteccia che potremmo definire il drive, l'hard disk cerebrale, in
cui vengono registrate tutte le associazioni tra stimoli, azioni e
ricompense e si cristallizzano le abitudini.
VOLERE
NON E' POTERE
Una abitudine
può essere descritta
come un cambiamento a lungo termine in cui risulta la dominanza
funzionale ed impulsiva del sistema mesolimbico ventrale, rispetto
alla corteccia prefrontale cosciente.
Nell'abitudine il controllo
corticale
superiore e le intenzioni coscienti hanno poca influenza su una
possibile azione. Così, laddove la volontà sia in
conflitto con
un’abitudine, è più probabile che si
attui quest’ultima
(Gardner, De Bruijn e Lally, 2011).
In altri termini, anche se ci ripetiamo all'infinito che “volere
è potere”, in realtà, volere
non è potere.
La dimostrazione che volere non è potere,
in realtà la constatiamo continuamente di fronte a certe
dipendenze
che abbiamo. Per es. pur sapendo quanto possano farci male
alcune sostanze o azioni o convinzioni, tendiamo a ripeterle in
continuazione (coazione a ripetere). Anzi, paradossalmente, tenderemo
a ripetere con maggior frequenza uno schema dannoso e/o rinnovare una
ferita profonda, piuttosto che cambiare abitudine e cambiare
vita,
proprio perché quello schema lo conosciamo ed è
stato così
rinforzato in anni e anni di stimolo, azione e ricompensa, sia
diretta, che secondaria, che le connessioni sinaptiche sono
così
spesse da risultare rigidissime e tutt'altro che plastiche e
modificabili.
REPETITA iuvant?
Affermare che il cervello
è plastico
significa che è possibile cambiarlo e neurologicamente,
significa modificare le sinapsi (dal greco synapsis,
connessioni), che collegano i neuroni, producendo risposte
automatiche e spontanee.
Dalla lettura del paragrafo
precedente,
abbiamo inferito che le ricerche neuroscientifiche identificano due
processi neurochimici fondamentali nella plasticità
cerebrale,
ovvero per cambiare e creare abitudini:
1. un IMPEGNO cosciente e
ripetuto,
attraverso la corteccia dorsale;
2. la produzione di
DOPAMINA, che
associa tale azione ad una gratificazione, motivandone la
ripetizione, attraverso l'area mesolimbica ventrale.
Dunque
repetita
iuvant,
ma non è sufficiente la ripetizione volontaria di un
comportamento,
perché si crei una abitudine, serve la produzione
dopaminergica
(data dalle novità) e la gratificazione.
E di questo tutti ne
abbiamo la prova.
Quante volte abbiamo ripetuto delle azioni, senza ottenere un
cambiamento?
La corteccia prefrontale,
nell'area
dorsale è responsabile del processo di acquisizione di
informazioni
ed è quella che prende decisioni. Questo processo
è volontario: se
non siamo coscienti, ovvero nel qui ed ora, concentrati
sui
nostri compiti, il nostro sistema interiore, limbico,
prenderà il
sopravvento.
E' per questo che nelle
fasi iniziali
di un rapporto, quando siamo molto attenti, tutto procede per il
meglio. Nel momento in cui la routine prende il sopravvento, che si
perde il controllo razionale dorsale e si reinnescano schemi e
comportamenti disfunzionali.
Perché un
circuito corticale si possa
riorganizzare e modificare è necessario che si attivi, oltre
alla
parte dorsale intenzionale, anche l’area tegmentale ventrale
producendo dopamina e desiderio.
Ma quando si attiva
l’area tegmentale
ventrale del nostro cervello?
Quando si vive
un’esperienza
sorprendente o nuova e quando si vive una esperienza utile
evolutivamente, cioè in grado di ridurre il dolore o di dare
piacere.
Se non abbiamo desiderio e
motivazione
verso una determinata azione o non si prevediamo la futura
gratificazione diventa quasi impossibile che il cervello possa
evolversi.
TECNICHE DI APPRENDIMENTO EFFICACE
“Tra il dire ed il fare c'è di mezzo il
mare”, recita un
detto celebre.
Partendo dalle condizioni di base atte allo sviluppo delle
abitudini, ovvero alle problematiche che possono ostacolare
il
passaggio tra il dire ed il fare (informazioni, volontà,
dopamina,
novità, tempo) possiamo stilare un piano di azione
efficace al
fine di acquisire sane abitudini.
Partiamo proprio da questo, dalle abitudini sane
e giuste.
Cerchiamo di sviluppare un piano di azione che porti al
vantaggio
evolutivo ed al benessere dopaminergico, partendo dalla fonte delle
informazioni, per passare attraverso tecniche di
apprendimento efficace nel garantire il tempo necessario di
ripetizione, ma anche il numero sufficiente di novità
stimolanti e
la costante gratificazione.
QUALI
SONO LE
ABITUDINI GIUSTE?
Come facciamo a sapere se le abitudini sono
giuste oppure
no, mica siamo onniscenti? Come facciamo a sapere se una abitudine
che potremmo acquisire sia davvero sana e vantaggiosa?
In giro, oramai, ci sono tantissime fake news ed altrettanti
guru
in grado di dispensarci soluzioni a portata di click, spesso dopo
qualche corso fatto da qualche parte a seguito di qualche problema,
talvolta con discipline obsolete, antiche, appartenenti a
realtà
opposte alla nostra o senza alcun fondamento scientifico, o senza
conoscenza del corpo e della psiche umana, nella sua
complessità.
Come abbiamo visto, sapere è alla base della
possibilità di
scegliere e lo è anche della motivazione ad agire. Sapere
che
qualcosa mi porta ad un vantaggio, mi preannuncia una ricompensa
evolutiva, mi fa favorire la produzione di dopamina e mi da la
motivazione ad agire.
Senza questo desiderio, l'abitudine non si consolida.
Affidarci ad un ESPERTO di settore, sicuramente può
aiutarci in
questo processo. Ma abbiamo visto che, la parte dorsale del cervello,
quella decisionista, quando c'è una abitudine o una
dipendenza, è
più debole ed ha maggiori difficoltà a precedere
con un
cambiamento.
Allora, capita che seppur in possesso di informazioni esperte
e di
buona volontà a cessare una abitudine malsana o una
dipendenza, non
ce la facciamo. Lo vogliamo, ma non riusciamo. Lo vogliamo con la
mente, con la regione dorsale, ma il cervello più arcaico ed
inconscio, non lo vuole affatto e tutte le chiacchiere di questo
mondo non riusciranno a convincerlo a meno di un profondo lavoro
introspettivo, spesso lungo, pesante ed inefficace. Sarebbe come
voler girare la direzione dell'iceberg, con una azione decisa nella
parte immersa. Troppo faticoso.
Potrebbe invece essere molto più efficace farlo con
tanti micro
cambiamenti e l'acquisizione di piccole abitudini.
Cambiare
improvvisamente
direzione può essere difficile, dispendioso e inefficace.
Convincerci a farlo, altrettanto. Ma iniziare, giorno dopo giorno, a
fare anche un solo piccolo passo in un'altra direzione, agevola il
passaggio a nuove piccole abitudini, soprattutto se
ad ogni
passo riceviamo una ricompensa.
In fondo, ogni cosa che abbiamo imparato l'abbiamo acquisita
in
questo modo: attento, lento e seriale. Una cosa alla volta.
Ciò che è importante e fondamentale
è che ci sia un
vantaggio/ricompensa e che ogni azione sia nuova e venga programmata
una adeguata variazione di stimoli gratificanti, in modo da favorire
la produzione di dopamina,ormone del desiderio e della abitudine.
Definiti dei vantaggi effettivi, adeguate novità ed
un
allenamento a piccoli passi per ottenere piccole abitudini,
si
può cambiare una vecchia abitudine con una nuova, ovvero cambiare
abitudini per cambiare vita. Ne viene da sé, che
una nuova
abitudine è più facile da consolidarsi, se
facilitata da un piano
di allenamento dettagliato ed esperto.
L'UTILITA' DI UN PIANO DI AZIONE
EFFICACE
La difficoltà di
passaggio tra il dire
ed il fare, che tante volte abbiamo sperimentato nella vita (e ora
sappiamo anche perché) è stata comprovata da due
ricercatori (Weeb
e Sheeran 2006).
Tra tutti i fattori che
possono
influenzare questo passaggio c'è la capacità di
produrre piani di
azione.
Recenti studi (Orbell
& Verplanken,
2010) hanno dimostrato che le tecniche di apprendimento
efficace
hanno una programmazione dettagliata delle associazioni tra segnali,
azioni e gratificazioni, con la forma “se
c’è la situazione A,
avvierò il comportamento B, per raggiungere la
gratificazione C”
al fine di consolidare una abitudine nel tempo.
Se consideriamo che la
produzione di
dopamina, essenziale nella costituzione della abitudine, si attiva
maggiormente con le novità e si disinnesca con
l'assuefazione,
diventa rilevante, all'interno del piano di azione, l'inserimento di
novità e sorprese.
Se prevediamo un piano
d'azione
dettagliato, vario e pieno di novità, che ad ogni specifico
segnale
ambientale faccia seguire una azione e poi una gratificazione,
sarà
più facile “lasciare la strada vecchia per quella
nuova”.
IL
FALSO MITO DEI 21
GIORNI
Abbiamo visto che ripetere
non è
sufficiente per acquisire una abitudine, ci vuole desiderio
inconscio, ovvero prospettiva di ricompensa. Ma quante volte bisogna
ripetere una azione premonitrice di gratificazione, affinché
diventi
una abitudine?
Molti risponderanno
“almeno, 21
giorni”.
Beh sbagliato!
Non so per quale motivo si
sia
consolidata (forse il desiderio che forse vera), ma questa falsa
credenza deriva dagli esperimenti forse poco attendibili di un
chirurgo estetico degli anni 60, Maxwell Maltz...
Ben più
recentemente, nel 2010, sul
European Journal of Social Psychology è stata pubblicata una
ricerca
scientifica di Lally, van Jaarsveld, Potts e Wardle, che hanno
studiato 96 soggetti intenzionati a sviluppare le abitudini nuove,
dalle più semplici, alle più impegnative.
ATTENZIONE! Il risultato
stato che i
soggetti hanno impiegato in media 66 giorni per costruire la nuova
abitudine e il tempo necessario variava in base alla
difficoltà del
“compito”.
Una abitudine semplice
“come bere un
bicchiere d’acqua, prima di colazione”, diventa una
abitudine
dopo 18 giorni.
Una abitudine
più impegnativa come
“fare addominali, prima di colazione”, diventa una
abitudine dopo
50 giorni.
Purtroppo, alcuni sotto
gruppi hanno
impiegato molto di più degli altri, lasciando ipotizzare
l’esistenza
di personalità più
“resistenti” all'apprendimento.
I giorni,
ovvero le ripetizioni,
erano di media 66.
I ricercatori hanno inoltre
rilevato
che, omettere saltuariamente il comportamento non compromette
l’intero processo.
Alla luce di questi
risultati, come noi
stessi più volte abbiamo provato, è ovvio che sia
più facile
memorizzare poche informazioni e acquisire piccole abitudini,
piuttosto che il contrario.
Di conseguenza, risulta ovvio che la frammentazione in piccole
azioni, più semplici, è inevitabilmente
più efficace,
nell'acquisizione di piccole abitudini
più sane.
Questi dati sono, a mio
avviso, molto
incentivanti e ci risollevano l'umore.
Non siamo così
stupidi se qualche
azione proprio non riusciamo a farla diventare una abitudine, forse
ci è mancata la giusta dose di dopamina necessaria e/o il
tempo per
acquisirla e/o l'allenatore giusto.
Non
possiamo imparare
qualcosa di nuovo, se non ci crea un vantaggio, nemmeno se non
abbiamo tempo sufficiente e tanto meno se abbiamo qualche altra
abitudine avversa che pretendiamo di sostituire, senza un piano di
allenamento minuzioso, graduale, facile e gratificante.
L'UTILITA'
DELLA RIPETIZIONE DILAZIONATA SPAZIALE
Diversi studi hanno
dimostrato che la
memorizzazione a lungo termine di una informazione è
più efficace con una ripetizione
dilazionata, cioè l’informazione
stessa viene ripetuta poche volte su
tempi
lunghi, anziché molte volte su tempi brevi.
Al cervello infatti piace
lavorare in
maniera efficiente, quindi:
-
se gli presentiamo la
stessa cosa molte volte in poco tempo penserà, che non serve
memorizzarla, visto che si presenta spesso;
-
se invece gli
presentiamo la stessa cosa a distanza di qualche giorno
penserà che è meglio memorizzarla per non
dimenticarla.
Un sistema di ripetizione
dilazionata,
o ripetizione spaziata (in inglese Spaced Repetition System, SRS),
è
un sistema di memorizzazione, che sfrutta l'"effetto di
spaziatura" (distribuzione temporale).
I primi studi
sull'argomento sono
dovuti ad Hermann Ebbinghaus (1850-1909), uno psicologo tedesco che
teorizzò la "curva dell'oblio" e l'"effetto di
spaziatura", nel suo saggio del 1885 "Memoria. Un
contributo alla psicologia sperimentale".
Secondo Ebbinghaus, l'oblio
segue un
ritmo esponenziale. Le informazioni si dimenticano velocemente nelle
prime ore, per decadere con più lentezza col procedere del
tempo.
Per comprendere il fenomeno, possiamo pensare a questo articolo, la
gran parte delle informazioni sarà dimenticata in poche ore.
Le
informazioni restanti, saranno più stabili e ci metteranno
più
tempo a decadere, senza che vi sia ripetizione, ovviamente.
La ripetizione
dilazionata, si basa
sull'"effetto di spaziatura", ovvero sulla distribuzione
temporale delle ripetizioni a intervalli temporali crescenti.
Nel 1939, H.F. Spitzer
misurò
l'effetto della ripetizione
dilazionata su 3600 studenti, dimostrando l'efficacia del
metodo. Negli anni '60, diversi psicologi esplorarono più in
dettaglio gli effetti della lunghezza della dilazione di ripetizione
per migliorare il ricordo.
PICCOLE
ABITUDINI:
IL METODO 7x52©
Buona notizia dunque, il
cervello è
plastico, si può riprogrammare con le abitudini
più efficaci
evolutivamente, ma non basta volerlo a livello mentale e nemmeno
ripetere.
C'è bisogno di
un continuo rinforzo
tra segnale/stimolo, azione e ricompensa, ovvero di dopamina.
Per acquisire le
abitudini sane,
abbiamo dunque bisogno di:
-
impegno cosciente
-
essere nel qui ed ora
-
avere informazioni
esperte
-
un piano di azione
variegato e particolareggiato
-
tempo adeguato di
ripetizione
-
ripetizione
dilazionata nel tempo
-
apprendimento
frazionato a piccole dosi
-
vantaggio e
gratificazione
-
associazione positiva e
costante tra stimolo, azione e ricompensaproduzione di dopamina.
Tutto questo si trova in un
piano di
allenamento dettagliato che aumenta l'efficacia della ripetizione, ma
anche la produzione di dopamina, attraverso programma minuzioso,
graduale, facile e gratificante: il metodo 7x52©
della
dottoressa Angela Flammini, che favorisce il ciclo
dell’abitudine
(segnale, azione, gratificazione) in diversi modi, coinvolgendo, di
volta in volta, esperti di settore. Ma può essere realizzato
autonomamente facendo in modo di associare specifici stimoli, a
determinate azioni e ricompense, per un periodo sufficientemente
lungo, possibilmente con ripetizione
dilazionata e guidata e magari non inferiore ai
2 mesi (ma almeno 6 sono meglio).
Nel metodo 7x52©,
il segnale o
stimolo, che attiva “l'abitudine”, non è
uno solo, ma ne sono
7 principali ed ad ognuno di essi è associato una specifica
tipologia di azioni, benché esse siano sempre diverse, in un
arco
temporale di circa 6 mesi. Inoltre, questi 7 segnali principali
possono essere rafforzati dal luogo in cui ci si trova e che
è
solitamente lo stesso. Infatti, i compiti sono postati in foglietti
all'interno di un cofanetto, che è comodo tenere nel
medesimo posto,
come il comodino vicino al letto o la scrivania in ufficio. Di
conseguenza, altri rinforzi diventano anche le persone con ci si
trova (es. partner in camera o colleghi in ufficio) e le azioni
precedenti appena compiute (svegliarsi o svolgere un lavoro).
Le azioni da compiere sono
frazionate, sono specificatamente diverse, ma appartengono a 7
principali abitudini, necessitano in genere di poco tempo.
Infatti sono dettagliatamente suggerite, benché
personalizzabili ed
adattabili e per questo ancora più intrise di
novità.
La loro ripetizione
è dilazionata in
un tempo di 365
giorni. Ogni tipo di abitudine si ripete una volta
ogni 7
giorni, per 52 volte settimanali.
Tra le 7 abitudini
principali, benché
tutte siano volte ad ottenere il meglio ed evitare il peggio, nel
contesto particolare, c'è una categoria che è
specificatamente
rivolta piccole abitudini ad evitare,
ciò che può provocare
dolore o danno.
Le azioni sono fisiche,
come strappare
il post it dal blocco e scriverci sopra; sono mentale,
perché
necessitano della formulazione di un pensiero ed emotive,
poiché
derivano ed inducono stati emozionali. La contingenza
multifattoriale, soprattutto emotiva, favorisce ancor più
l'apprendimento, ma l'ultima azione, nello specifico è in
grado
anche di accrescere l'intelligenza emotiva individuale, ovvero
l'efficacia evolutiva e sociale, aumentando la propria consapevolezza
emotiva.
La gratificazione che
rinforza l'azione
compiuta e motiva alla sua successiva ripetizione è varia e
multipla.
Cioè,
è sempre diversa, come diverse
sono le azioni e gli ormoni coinvolti in esse.
Inoltre è
duplice e conduce a due
possibili vantaggi. Da una parte abbiamo i vantaggi interni ed
egoriferiti, ovvero la reazione biochimica ed emotiva che si
accompagna all'esecuzione dell'azione, come per esempio, provare
gratitudine, compiacimento, apprezzamento, amore o altre emozioni
positive, oppure evitare emozioni negative (specifiche di una tra le
7 abitudini principali), oppure produrre ormoni antistress o del
benessere.
Dall'altra parte, abbiamo i
vantaggi
che derivano dall'aver compiuto certe azioni beneficiando
così di
rinforzi secondari, indiretti ed esterni e forniscono una profonda
sensazione euforizzante, direttamente correlata al rilascio di
dopamina.
Per fare un esempio,
immaginiamo che
voglio acquisire l'abitudine, una volta a settimana, di fare qualcosa
di utile per
le relazioni o l'intelligenza emotiva, come per esempio, fare
un
complimento al partner o a un collega o ad un amico. Il post it mi
facilita il compito indicandomi il tipo di complimento più
indicato
da fare, ma sarò io a dovermi concentrare per specificare
esattamente cosa scrivere e poi comunicare. In questo modo sono
costretto ad entrare in contatto con me stesso e le mie emozioni,
divento più consapevole e imparo a focalizzarmi su qualcosa
di
positivo, piuttosto che di negativo. Questa azione avrà
già di per
sé i suoi vantaggi, aumenta anche il mio umore, ma quando
avrò
comunicato il complimento al destinatario, è molto probabile
che ne
trarrò vantaggi, sia funzionali, che evolutivi.
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